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La poetica di Luis Buñuel nell'interpretazione di Gilles Deleuze
L'Angelo sterminatore

di Renzo Principe

Uno degli aspetti che caratterizza L'Angelo sterminatore è l'uso che Buñuel fa della ripetizione. Buñuel dichiara di essere il primo regista che utilizza questo espediente narrativo poiché una scena ripetuta crea un senso di ossessione, di angoscia e di mistero. Fin dalle prime sequenze Buñuel inserisce una serie di ripetizioni, che danno alla struttura stessa del film un andamento circolare, così che L'Angelo sterminatore sembra non avere un finale vero e proprio e si conclude con una sospensione. Lo spettatore non ha la sensazione che qualcosa si sia compiuto, anzi, è proprio nella sequenza finale che tutto ritorna in modo esponenziale e amplificato.

La scena in cui i personaggi si ritrovano in chiesa a pregare, per ringraziare il Signore del pericolo scampato, potrebbe ben rappresentare il finale di questo film se lo sguardo di Buñuel, sul dramma appena trascorso, non riaprisse il cerchio degli eventi, se Buñuel non inserisse un movimento circolare che ritorna su se stesso in una sorta di gioco infernale; d'altra parte la ripetizione finale appare come una sospensione, come uno sguardo sospeso sull'abisso. Non solo Buñuel mette in rilievo le contraddizioni di una classe sociale che si nasconde dietro la facciata delle buone maniere e delle convenzioni, ma ripercorrendo il filo delle proprie ansie, delle proprie angosce e dei propri ricordi pone uno sguardo sospeso sull'esistenza umana e più in generale sulla realtà. La ripetizione, ha qui il valore del dubbio, di un dubbio che vuole andare al di là del visibile, un dubbio che crede più all'incredibile che a ciò che vede, apre uno scarto che allude a qualcosa d'ignoto, è causa degli eventi e fa sentire tutta la potenza della sua forza invisibile.

Il dubbio, in Bunuel, è quel sentimento che gli permette di orientare il proprio sguardo poetico verso la ricerca di mondi originari; ambienti e luoghi che ritroviamo non solo nell'Angelo Sterminatore, ma sparsi un po' in tutta la sua opera cinematografica.

L'Angelo sterminatore (1962) è il primo film del periodo messicano che Buñuel gira in piena libertà. Gustavo Alatriste, il produttore del film, da carta bianca al regista, quindi, primo non nel senso cronologico, ma nel senso che Buñuel, per la prima volta da quando si è trasferito in Messico, realizza un film che si ricongiunge direttamente all'esperienza che aveva fatto negli anni '30 a Parigi con il surrealismo.

Questo dato è fondamentale, poiché il cinema, come forma d'arte, oltre ad essere una produzione di immagini poetiche è la realizzazione di un prodotto che deve poter essere visto da un gran numero di persone, deve avere un certo successo per affermarsi: nessun produttore è disposto a finanziare un film destinato a non essere visto o destinato ad un circuito ristretto, anche se di grandissima qualità. Prima di trasferirsi in America, Buñuel aveva girato tre film: Un chien Andalou (1928), prodotto insieme a Salvador Dalì con i soldi che gli aveva dato la madre; L'Âge D'or (1930), finanziato da un mecenate parigino amico dei surrealisti e Las Hurdes, film documentario, girato grazie ad una somma di denaro vinta alla lotteria che gli aveva donato un amico anarchico. In questi primi tre film Buñuel, in un qualche modo è sganciato da problematiche finanziarie e commerciali, è libero di realizzare un opera che non deve fare i conti con il gusto estetico o con la morale dominante del proprio tempo. Con L'Angelo sterminatore di nuovo Buñuel può realizzare un film scandaloso come L'Âge D'or, capace di smuovere le coscienze. È quindi grazie ad una rinnovata libertà d'espressione che Buñuel, ritorna all'esperienza surrealista e ricongiunge i fili con il surrealismo degli anni trenta. Con questo non si vuole dire che Viridiana, Los Ovidados e Nazarin non siano film che si richiamino al surrealismo, ma sottolineare che è a partire da L'Angelo sterminatore che tutta la produzione successiva di Buñuel si caratterizza sempre più come produzione surrealista.     

Possiamo quindi considerare L'Angelo Sterminatore uno tra i film più rappresentativi del surrealismo dopo Un Chien Andalou, L'Âge D'or e Las Hurdes. Tuttavia è bene evidenziare che c'è una differenza sostanziale tra Un Chien Andalou e L'Âge D'or, da una parte, e Las Hurdes e L'Angelo Sterminatore dall'altra. Questa differenza consiste in un diverso modo di rapportarsi con la realtà.

Nei primi due film al centro dell'attenzione vi è il mondo onirico, la scoperta della poetica surrealista del sogno, della scrittura automatica e dell'oggetto surrealista come vie privilegiate verso l'incoscio. In tal senso Un Chien Andalou e L'Âge D'or hanno una struttura interna che si sviluppa attraverso una successione di sequenze irrelate tra loro: le immagini si susseguono in modo da creare un senso di spaesamento; l'effetto surreale è dato dall'incontro tra immagini molto distanti e incongrue che, proprio dal loro incontro, producono una terza immagine che destruttura il reale.[1]

In questo modo le sequenze si collegano e si richiamano attraverso associazioni d'immagini, come ad esempio, nella prima sequenza di Un Chien Andalou dove l'immagine della la nuvola sottile per analogia richiama l'immagine dell'occhio tagliato dal rasoio. L'organizzazione delle immagini mettono qui in evidenza la fluidità del reale. La surrealtà fa emergere uno sfondo sul quale si proietta la realtà: questo sfondo non è altro che uno spazio che viene prima di ogni razionalizzazione e schematizzazione del reale. Con Un Chien Andalou e L'Âge D'or siamo nell'ambito del sogno, del mondo onirico e di tutti quegli stati secondi che sottostanno al mondo della veglia in cui gli istinti, i desideri e gli affetti possono manifestarsi, come sintomi per aprirsi un una via d'uscita verso la coscienza.

Diverso è il caso di Las Hurdes e dell'Angelo Sterminatore. Qui l'ambiente è la realtà tout court, siamo nell'ambito del naturalismo in cui non vi è nulla del sogno o del fantastico, il mondo è reale. La realtà è indagata e analizzata direttamente attraverso l'occhio della macchina da presa, che è in grado di cogliere aspetti inaccessibili all'occhio umano. Si tratta di mettere in luce uno strato nascosto, profondo, non immediatamente percepibile, un substrato che fa da sfondo al reale in cui reale e irreale, conscio e inconscio, si mescolano e istituiscono una via di comunicazione profonda. In questo caso la costruzione e l'organizzazione delle immagini non hanno bisogno di deviazioni e di appoggiarsi al mondo onirico. Nell'Angelo Sterminatore è il soggetto stesso del film che s'incarna e prende corpo nelle immagini, senza aver bisogno di luoghi di spaesamento perché inerisce di fatto la realtà stessa.  L'invisibile è qualcosa che appartiene alla realtà, che emerge da uno sfondo originario. Qui, gli elementi surrealistici non sono altro che occasioni per far affiorare ciò che fa da sfondo al reale, nel senso di ciò che è fondante e contiene in sé tutta la realtà. Nell'Angelo Sterminatore gli elementi di spaesamento, sono quindi elementi di contorno, espedienti narrativi che richiamano lo stile surrealista, ma che non impediscono al film di avviarsi senza interruzioni verso la propria conclusione: è  la realtà stessa che sempre più si degrada e lascia apparire sotto di sé un mondo quasi informe, un mondo originario costituito da pezzi, parti, frammenti e personaggi che regrediscono allo stato istintuale e pulsionale. Tutti i personaggi dell'Angelo sterminatore, gli ospiti rinchiusi nella villa, sembrano incarnare soggetti costituiti, in realtà essi sono più l'espressione di una energia pulsionale che la caratterizzazione di soggetti reali. 

 In questo senso Buñuel con L'Angelo Sterminatore ricongiunge i fili della propria poetica ritornando al realismo di Las Hurdes. Il realismo di Buñuel sonda la realtà attraverso un surrealismo nero che per certi aspetti si differenzia dal surrealismo bretoniano. Mentre in Breton il surrealismo sembra essere un surrealismo razionalizzato, un surrealismo portato alla luce della ragione che allarga i confini della razionalità portandovi dentro proprio il mondo irrazionale, in Buñuel il surrealismo si attesta al livello zero, vive nell'ambito della degradazione, della pulsione, della separazione e del dubbio: è un surrealismo corporeo che fa emergere mondi originari sui quali la "realtà" appare come un mondo derivato. In effetti è il corpo che sta al centro della poetica bunuelliana.

Tra le varie interpretazioni che sono state date Dell'Angelo sterminatore quella di Deleuze è una tra le più interessanti perché riconduce il naturalismo e il realismo di Bunuel ad una visione particolare del surrealismo che si distacca dalla visione assunta dal surrealismo classico bretoniano.

Il naturalismo ha avuto due grandi creatori nel cinema, Stroheim e Buñuel, In essi, l'invenzione dei mondi originari può apparire sotto forme localizzate molto diverse, artificiali o naturali: in Stroheim [.] il deserto alla fine di Rapacità; in Bunuel, [.] il salotto dell'Angelo sterminatore [.]. Anche localizzato, il mondo originario è comunque il luogo straripante in cui si svolge tutto il film, cioè il mondo che si rivela in fondo agli ambienti sociali tanto potentemente descritti[2]

Ma cosa intende Deleuze quando parla dei mondi originari, e quale tipo di immagine cinematografica serve a mostrare questo mondo sottostante per il quale il mondo reale non è altro che un suo derivato?

Innanzi tutto Gilles Deleuze nella premessa a L'immagine-movimento dice che questo suo studio non è una storia del cinema, ma una classificazione delle immagini cinematografiche. L'idea di Deleuze è che le immagini filmiche possono essere pensate come concetti, per questo la storia del cinema non appartiene solo alla storia dell'arte ma anche a quella del pensiero. I grandi registi, non solo possono essere equiparati ai grandi musicisti, agli architetti e ai pittori, ma anche ai pensatori poiché essi pensano per immagini. Sulla scorta della filosofia bergsoniana Deleuze individua quattro grandi famiglie di immagini: L'immagine-percezione, l'immagine-azione, l'immagine-affetto, e l'immagine-pulsione. Ad ogni tipologia di immagine fa corrispondere diversi ambiti spaziali che chiama attualizzazioni. Lo stato di cose - scrive Deleuze - può attualizzarsi sia in un mondo realmente determinato che in un mondo idealizzato. I luoghi possono essere ideali, storicamente e geograficamente localizzati, oppure fare da sfondo all'ambiente reale come nel caso dei mondi originari. Pensiamo al cinema espressionista il cui centro è l'immagine-affezione. L'immagine che veicola l'espressione di un sentimento o di una emozione è sempre un primo piano, e il primo piano per eccellenza è quello di un volto o un suo equivalente, ma può anche essere uno spazio indeterminato che assume la funzione del volto: un gioco di luci o di ombre che si riflettono su un oggetto il quale rimanda non a quella specifica emozione o sentimento, ma a quell'emozione e a quel sentimento presi nel loro senso assoluto. L'immagine-affezione è una immagine ideale di pura espressività, ma proprio perché è indeterminata è uno spazio ideale, un luogo del possibile che di volta in volta può esprimersi e determinarsi in un qualsiasi oggetto.

Il mondo originario - scrive Deleuze - non è un mondo irreale, de-realizzato e idealizzato, anzi, al contrario, è l'ambiente concretamente determinato e localizzato che deriva dal mondo originario sottostante; ma non è neppure il luogo dei sentimenti, delle emozioni e dei ricordi, perché in esso vi dominano le pulsioni elementari. Il mondo originario è un mondo disarticolato, un puro caos privo di ogni forma organizzata, il suo carattere è quello di essere uno strato amorfo, uno sfondo costituito da parti di materia allo stato nascente, di abbozzi, di energie. E la pulsione - scrive Deleuze - "è l'energia che s'impadronisce dei pezzi nel mondo originario. Pulsioni e pezzi sono strettamente correlativi". Il ritorno all'origine implica uno stato di degradazione e di violenza radicale e, insieme, una temporalità "che è come l'inizio e la fine del tempo".

L'importanza del naturalismo, in Buñuel, risiede proprio nel fatto che la descrizione dell'ambiente reale è tutta risolta alla luce del mondo originario; d'altra parte l'ambiente reale non potrebbe essere così potentemente descritto se non attraverso le pulsioni che stanno al di sotto dei comportamenti reali di cui il mondo originario ne svela la violenza e la crudeltà. L'immagine naturalista è quindi un'immagine-pulsione costituita da due elementi: i sintomi che sono "la presenza delle pulsioni nel mondo derivato" e i feticci o idoli che sono abbozzi di forme attraverso le quali le pulsioni realizzano i propri atti.

Nell'Angelo sterminatore, il mondo originario s'incarna nel salotto borghese e poi successivamente nel finale del film nella cattedrale, esso è segnato anche da una temporalità originaria che è sempre un tempo psicologico, un tempo che coincide con la degradazione.

Nell'Angelo sterminatore, abbiamo quindi un tempo originario che è un tempo ciclico, circolare. Di conseguenza la degradazione - scrive Deleuze - assume la figura di una ripetizione che ricade su se stessa, di un eterno ritorno. Il tempo del mondo originario impone agli ambienti derivati, non un andamento lineare, ma quello di una eterna ripetizione. Se guardiamo anche ad altri film di Buñuel, come Nazarin, L'Age Dor, Simon del deserto il tempo ciclico fa sì che tutti i personaggi appaiono, nel medesimo tempo, come santi e uomini perversi, gente per bene e criminali, poveri e ricchi ecc.

Un primo aspetto dell'immagine naturalistica, dell'immagine-pulsione, è quello di essere strettamente legato alla natura delle pulsioni che sono sempre accompagnate da comportamenti perversi; un secondo aspetto riguarda l'oggetto della pulsione che è sempre un frammento, un feticcio. I comportamenti perversi sono la proiezione che il mondo originario getta sul mondo derivato. Tutte le pulsioni hanno la stessa finalità che è quella di ricongiungersi in una unica pulsione. Scrive Deleuze: "Morte, morte, la pulsione di morte, il naturalismo ne è saturo". La salvezza da questo mondo degradato e regredito non può che presentarsi come una risalita, ma in Buñuel, è la ripetizione che genera la discesa e la dissoluzione delle parti; a questo punto Deleuze si domanda: "Ma la ripetizione non è forse capace di uscire dal proprio ciclo e di saltare al di là del bene e del male?" La ripetizione che degrada può quindi uscire da se stessa ed essere un luogo di rinascita, si presenta in diverse forme, può essere una cattiva ripetizione oppure può essere una ripetizione che salva.

Nell'Angelo sterminatore la cattiva ripetizione è il cerchio che chiude e limita gli ospiti di Nobile, mentre la buona ripetizione è quella che apre il cerchio.  Così fanno parte della cattiva ripetizione la scena iniziale in cui gli invitati entrano due volte nella casa, visti però da punti di vista differenti; il brindisi di Nobile, che una prima volta si fa nell'attenzione generale e poi nell'indifferenza; la presentazione fra due invitati, che avviene in momenti e in luoghi diversi. Si potrebbe dire che nei suoi film Buñuel non ha fatto altro che ripetere la medesima trama, ruminare le medesime angosce ed ossessioni, per uscire dal dubbio soffocante della fede, del peccato, dell'esistenza, del significato stesso della vita e della realtà delle cose. La buona ripetizione nell'Angelo sterminatore è unica, è l'unica esatta in cui gli invitati come per "caso" si ritrovano nell'identica posizione iniziale e grazie a questa circostanza ripetuta rompono l'incantesimo che li incatenava.

Ma Deleuze sottolinea che una identica ripetizione del passato è impossibile poiché tutto cambia nel divenire del tempo. Forse ciò che è possibile è la fede in un futuro migliore, la fede in un istante creativo che spezza il cerchio della ripetizione degradante.

Ed è forse questo il senso della ripetizione finale che è uno sguardo sospeso sull'esistenza che suona come un monito a non lasciarsi intrappolare nelle rassicuranti e oppressive istituzione sociali; mentre la libertà, la vera libertà, implica una sempre e rinnovata azione che rompe lo stato di cose costituite.

È interessante far notare come l'interpretazione di Deleuze riconduca il realismo di Buñuel ad un naturalismo che si traduce, in ultima istanza, in un surrealismo particolare che ha come suo sfondo filosofico la dottrina dell'eterno ritorno di Nietzsche. Ancora più interessante diviene allora il confronto tra metodo dialettico e dottrina dell'eterno ritorno. Nel Secondo Manifesto la figura di Hegel è centrale, il surrealismo ha come suo punto di riferimento filosofico la dialettica hegeliana. L'atteggiamento antisistematico dei surrealisti li porta ad accogliere dal metodo dialettico solo il momento della negazione, il momento dell'antitesi. Il loro problema era quello di pensare la dialetticità come un movimento concreto che si apre alla costante contraddittorietà del reale. In questo senso i surrealisti hanno inteso la surrealtà come un luogo pre-logico in cui razionale e irrazionale, realtà e sogno sono posti sullo stesso piano e trovano una via di scambio reciproco. Tuttavia, riconducendo la surrealtà alla dialettica, i surrealisti corrono il rischio di comprendere tutta la realtà all'interno di una totalità priva di contraddizioni. A tal proposito Breton si è dovuto scontrare con diversi "dissidenti", per cui si è parlato di due correnti del surrealismo: una definita surrealismo bianco, che fa capo alla al surrealismo bretoniano; l'altra, che oppone alla concezione dialettica un materialismo aggressivo ispirato alla filosofia di Nietzsche, definito surrealismo nero Tra i maggiori esponenti di questa corrente, Artaud e Bataille, vedevano nel surrealismo ortodosso una visione troppo idealizzata che rischiava di restaurare la distinzione tra materia e spirito, a svantaggio del corpo e della corporeità. Il prefisso sur è stato interpretato sia come sopra che come sotto. La surrealtà, da una parte è vista come realtà superiore che ricostituisce i valori dell'amore, della libertà e dell'arte; dall'altra, come realtà degradata che si riduce al livello più basso in cui i desideri rimossi si trasformano in violenza, male, perversione ed espressione dolorosa del corpo. Nel surrealismo bretoniano, la liberazione del sogno e dei desideri sono investiti di valori ideali come la libertà, la spontaneità da contrapporre ai valori degradati della società borghese. Nella lettura di Deleuze, invece, la poetica di Buñuel (e il suo naturalismo) è  permeato da un surrealismo nero  che mette in evidenza i mondi pulsionali e originari: gli istinti, le pulsioni, i desideri rimossi tendono verso il loro appagamento, tuttavia, secondo Buñuel, l'energia sublimata molto spesso si orienta verso la pulsione di morte e la distruzione piuttosto che verso la creatività e l'arte. Ora, come abbiamo visto nell'interpretazione di Deleuze, Buñuel pone l'accento sul carattere eversivo che possono assumere le pulsioni, qualora vengono affermate, riconosciute ed elaborate; sull'unità materiale del corpo, che è anteriore ad ogni distinzione intellettuale.

Ciò che emerge dalla lettura di Deleuze è che le contraddizioni non si risolvono passando attraverso il lavoro della negazione, attraverso il lavoro della dialettica, quanto piuttosto nell'affermazione della differenza e della alterità.

[1] L'immagine - scrive Breton nel Primo Manifesto, riportando la concezione di Pierre Reverdy - "è una creazione pura dello spirito. Non può nascere da un paragone, ma dall'accostamento di due realtà più o meno distanti. Più i rapporti delle due realtà accostate saranno lontani e giusti, più l'immagine sarà forte - e più grande sarà la sua potenza emotiva e la sua realtà poetica. ecc.".

[2]  Gilles Deleuze, L'immagine-movimento, tr. it., Milano, Ubulibri, 1984, p.149-150 (1983)

 

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