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Il "restauro virtuale": più vero del vero (Parol on line - maggio 1999)

di Cesare Chirici

Quando si pensa al "restauro virtuale" si fa subito riferimento a un qualcosa che non è un vero restauro (destinato com'è noto ad agire direttamente sul manufatto) ma a un'operazione con cui solo "a latere" si risarcisce un'opera compromessa dall'azione del tempo e degli uomini. Roberto Longhi usava , mutatis mutandis , l'espressione "restauro mentale" quasi a scongiurare in molti casi l'intervento concreto, non di rado destinato a ottenere risultati poco edificanti se non addirittura perniciosi per le sorti dell'opera. D'altra parte l'espressione "restauro virtuale" viene usata ai nostri giorni , meno raramente di quanto non si creda , per intendere quelle operazioni con cui si desidera intervenire su opere d'arte contemporanea che hanno perduto la loro tradizionale connotazione oggettuale , a partire dagli anni sessanta fino ai nostri giorni , per cui il restauro deve fare i conti con la sempre meno parziale "smaterializzazione" di quelle opere stesse , divenendo una realtà assai diversa da quella che comunemente si crede .

Tra le due definizioni di cui sopra esiste ovviamente una relazione non peregrina . Intanto , intervenire con un restauro virtuale su un'opera della tradizione storica significa inevitabilmente avvalersi di procedure e tecniche che vengono sempre più desunte dall'universo della moderna tecnologia , che è in grado (con l'uso ad es. del computer) di programmare e dirigere molti interventi "ipotetici" su opere della produzione storica, dall'architettura alla pittura . Senza considerare qui l'importanza che l'elaborazione elettronica assume per la ricostruzione di contesti archeologici e storici ai fini dell'immersione del pubblico in un passato che tende sempre più a spettacolarizzarsi , dando la stura a una sorta di illusione retroattiva dai tratti talora inquietanti , è noto come ad es. l'uso del calcolatore nel ripristino virtuale di un'immagine perduta consente di lavorare su un'informazione a carattere digitale che può essere modificata , duplicata, ecc., con la massima libertà di azione , i cui risultati portano a una pre-visualizzazione di interventi di restauro capace di orientare l'intervento concreto su quei delicati materiali , per ottenere soluzioni compatibili con le attuali leggi dell'estetica e della conservazione.

Un'adeguata programmazione al computer di una pulitura su opere lapidee, ad es., o di procedure analoghe destinate a un risarcimento pittorico delle lacune di un dipinto su tavola o un affresco , permette di prefigurare attraverso una dislocazione della referenza originaria (e in ciò consiste il "restauro virtuale") il risultato dell'operazione da attuarsi o meno sull'opera vera e propria , consentendo in alcuni casi di evitare un intervento concreto che , come si sa , deve essere motivato da ragioni eminentemente conservative per le buone sorti del manufatto . Penso qui non soltanto alle proposte di ricucitura delle lacune degli affreschi assisiati , in seguito al terremoto , demandate in parte ai contributi dei ricercatori dell'Università di Roma la Sapienza , che intendono realizzare un software in grado di ricostruire il grande puzzle (centomila frammenti per 140 metri quadri di superficie pittorica) in collaborazione con i restauratori dell'Icr: se ci si riuscisse, l'immane opera di riassemblaggio (che sarebbe la prima nel suo genere) potrebbe concludersi molto prima dei diversi anni richiesti dalle attuali procedure manuali. Penso ad es. anche alle ipotesi di pulitura della superficie della Gioconda di Leonardo , conservata al Louvre , che il "restauro virtuale" è in grado di omologare per una soluzione che preveda inoltre con opportuni escamotages il riconoscimento dello status soggiacente alla vernice alterata , onde magari preservare l'opera da un inutile trattamento in corpore vili .

Ma se la moderna tecnologia , come appare verosimile, consentirà di supportare e talora di sostituire , con ipotesi "virtuali" utili a proteggere i reperti originali da manomissioni talora pericolose, gli effetti della tradizionale manualità dell'operatore con procedure più asettiche e "oggettive", affiancando al consueto laboratorio di restauro una sorta di centrale computerizzata ove in molti casi restauratori e scienziati collaborano assieme , ne deriva che la stessa normale attività di restauro risentirà probabilmente di una sempre maggiore spersonalizzazione operativa delle procedure , tale da rendere probabilmente meno perspicua e decisiva la consuetudinaria sensibilità individuale del restauratore nei confronti di quegli unica che sono le opere d'arte , finendo davvero per "virtualizzarne" le prerogative assimilando così l'oggetto a qualcosa di assai meno fisico d'un tempo , a una sorta di simulacro di se stesso. Preoccupazioni di questo tipo hanno accompagnato la penetrante e attenta disamina del patrimonio restaurato da parte di uno studioso valente come Alessandro Conti , recentemente scomparso , che si mostrava assai sensibile nei confronti di questo viraggio epocale della funzione e della sensibilità manuale del restauratore.

Diversi fattori conducono a ipotizzare una situazione di questo genere , ove il crescere d'importanza dello stesso restauro virtuale comporta un effetto di ritorno sulla stessa professione , con la lenta trasformazione della funzione e del ruolo del restauratore stesso . Costui sembra aver perduto da tempo una consuetudine col manufatto che in passato si legava all'inconscia iterazione delle procedure che ne avevano accompagnato la concreta realizzazione , nonché a tutte le implicazioni sensoriali e fisiche connesse con l'approccio all'opera , compreso quel "sedimentarsi del tempo" che ne faceva una sorta di palinsesto recalcitrante a qualsiasi indebita frammentazione della propria densità . Nella tradizione preottocentesca esiste ad es. il passato come sedimentazione di eventi , come spessore che l'opera porta con sé al punto da scongiurarne la segmentazione . A ciò corrisponde un concetto di restauro che si lega a questa idea di continuum , per cui non si può "ricostruire" un'epoca storica condensata in un sedimento che la implica , rendendo inconcepibile la stessa possibilità di recuperare l'originale di un dipinto o una scultura.

Tornando alla relazione tra le due definizioni di restauro virtuale tentate all'inizio , è proprio questa trasformazione lenta del ruolo del restauratore tradizionale , sempre più simile ad un funzionario della scienza applicata ai beni culturali e sempre meno partecipe del "senso" dell'opera antica , che lascia immaginare il plausibile approdo a una virtualizzazione dell'intervento di restauro (già all' interno delle stesse modalità operative della professione) compatibile peraltro con la parallela smaterializzazione contemporanea della produzione artistica. Il valore complessivo e sedimentario dell'opera antica , ridotta ad immagine di se stessa in seguito a un processo socio-culturale che trova i suoi inizi con l'avvento dello storicismo ottocentesco, perde pian piano consistenza con l'affermarsi di un qualcosa che sopravvive a prezzo di una propria inevitabile "falsificazione" (si pensi a quegli "algoritmi" o sistemi logici tradotti nei moderni software che segmentano l'insieme del manufatto in alcuni parametri , come il colore , la pennellata , lo spessore, ecc., e ne quantificano in termini informatici l'implicita sinergia complessiva ) ; tale "falsificazione" è strettamente connessa con la trasformazione irreversibile del suo significato originario .

"Meglio il falsificato che il perduto" , afferma nondimeno l'artista Giorgio Griffa a proposito del processo di secolarizzazione del valore cultuale del patrimonio artistico (già indagato magistralmente da Benjamin) che si lega peraltro con la maturazione progressiva dalla moderna coscienza storica. Lo snaturamento destinale del senso dell'opera ( cui s'oppone paradossalmente una curiosa retroazione veritativa in quell'attardato filologismo degli storici dell'arte che appare talora permeato di strisciante neopositivismo ) conduce a un lenta rarefazione recettiva della sua fisicità come accade alle testimonianze artistiche contemporanee , che divengono oggetto quasi spontaneo del cosiddetto "restauro virtuale" : in primis le manifestazioni della videoarte e tutte quelle creazioni ove la consistenza dell'opera si lega esclusivamente col momento in cui essa viene percepita dal riguardante , al di là del quale si dissolve del tutto l'oggetto del contendere.

L'esemplificazione forse più emblematica di una situazione come quella adombrata pocanzi , che richiama la seconda definizione di "restauro virtuale" da noi proposta all'inizio , può essere fornita dall'esempio che qui sotto riportiamo . Recentemente è stato offerto all'asta un quadro inesistente , senza tela e senza cornice, realizzato con colori che non provengono dalla tavolozza tradizionale . Questo dipinto non si può né appendere né portare a casa , non ha alcun peso né alcuna dimensione reale , tuttavia ha due proprietari , di cui ognuno riesce a possederne la totalità . Per aggiudicarselo ex aequo all'asta da Druot , Bruno Chabannes e Antoine Beaussant hanno speso ciascuno 15.800 franchi ( più o meno 47 milioni) ottenendo in cambio non l'etereo dipinto ma soltanto una chiave , identica per ambedue , per poterlo visionare . L'opera virtuale, dal titolo Parcelle/Réseau , ha un autore che si chiama Fred Forrest ( artista francese , tra i fondatori di un'estetica fondata sugli strumenti della comunicazione in quanto tali ) ed è stata composta su Internet utilizzando i tasti come pennello e un vero e proprio arcobaleno elettronico. L'immagine , che per esser vista abbisognava di uno schermo ma soprattutto del codice d'accesso , ha dovuto esser in qualche modo proiettata prima dell'acquisto , e pare che in quell'occasione non abbia suscitato troppo entusiasmo nei compratori . Si tratta di un'immagine astratta, con bizzarri segmenti e una strana luce che le conferisce una sorta di charme ipnotico . Qualcuno ha parlato di transustanziazione informatica , ma quello che più colpisce qui è il fatto che Parcelle abbia introdotto in Internet la contemplazione esclusiva , coincidente con il suo possesso idest con lo spiare dal buco dell'infoserratura e dirsi " è mia". Paradossale è anche il fatto che un originale "nascosto" nella rete telematica più accessibile del pianeta possa rivelarsi soltanto ai suoi virtuali padroncini contraddicendo in qualche modo la specifica natura del mezzo . In realtà essi "posseggono" (per così dire) un dipinto immateriale che forse nessuno vorrebbe ricevere in eredità. Si attenta qui sia al diritto d'autore che a quello di proprietà , mettendo a disagio la giurisdizione tradizionale che s'applica in merito a controversie su beni artistici e prefigurando un futuro della produzione e della recezione artistica ormai non più così lontano .

Cos'è accaduto in questa circostanza? Sparisce l'opera come entità fisica, connessa a un qui ed ora e ad un processo di assestamento e degrado che ne impronta la fisionomia e l'esistenza , attribuendo al restauro l'ambigua funzione di preservare-riattualizzare il suo senso complessivo. L'opera non esiste se non nel momento in cui viene richiamata da un oblio , da una sospensione che la sottrae alla progressione temporale e alle regole interpretative che governano la rete dei rimandi e le continue mutazioni , a partire dal suo momento germinale fino al presente della coscienza fruitiva . Accade come nel recupero dei reperti archeologici , quando il seppellimento li sottrae alla vista e li protegge dall'usura mentre il discoprimento più o meno improvviso produce l'incanto di una sorta di rinascita .

Divenendo essa stessa virtuale , la consistenza dell'opera coincide con la sua attualizzazione e il restauro con la sua stessa presenza , facendo sì che l'aspetto legato all'aggiornamento suggestivo s'imponga su quello legato alla fisicità e ai segni del deperimento. Ivi il restauro ritrova , in una con l'astanza dell'opera come simulacro di se stessa , le proprie ragioni primeve di operazione che vuol sfuggire alle leggi della Vergaenglichkeit e della passatezza . Tutto ciò non può non influire sul restauro come atto concreto , che non nasconde di puntare ai risultati più eclatanti sfruttando l'effetto esercitato dalla rarefazione materiale dell'arte contemporanea nei confronti della presentificazione e moltiplicazione massmediatica dei beni culturali. Le ambizioni del recupero dell'originale suffragate dall'onnipotenza telematica si coniugano con quelle della reintegrazione del lacerto . Proprio sulla scorta della virtualizzazione del concreto , del reale , e della sua dislocazione in un "verosimile" che vuole riscattarci dalla penuria dell'effimero , la coincidenza tra presenza dell'opera e restauro sancisce l'attuale inveramento del suo inconscio e nascosto desiderio , quello di far rivivere ciò che rivivere non può .

Probabilmente dovremo aspettarci un effetto di rimbalzo di fenomeni che riguardano l'arte del presente sugli atteggiamenti più tradizionali relativi alla disciplina del restauro e a quanto le ruota attorno. I criteri più aggiornati di conservazione del patrimonio storico , che dipendono ormai in gran parte dall'uso dei materiali moderni come le resine sintetiche e dalle attuali tecnologie , dovrebbero infatti consentire (come nel caso delle opere realizzate al computer ) di azzerare gli effetti ambientali sui manufatti in modo che si possa assimilare la sterilizzazione di quegli oggetti con la rarefazione dell'ummagine estetica computerizzata , una volta che ne venga sospesa la percezione. E' forse questo , probabilmente , lo stesso destino conservativo delle opere d'arte della tradizione, se la loro musealizzazione sottrae gran parte della loro identità complessiva esaltandone quelle caratteristiche "algoritmiche" che più si confanno con quelli che Alois Riegl definiva nel suo Denkmalkultus "valori contemporanei" , legati alla recezione massmediatica e al coinvolgimento dello spettatore . Il viraggio di senso indotto dalla dislocazione musealistica del patrimonio storico diviene direttamente proporzionale alla sua rarefazione fisica , frutto della segmentazione di un insieme ritotto a lacerto , fino a giungere a quella sorta di delibata astrazione che corrisponde all' "immagine" (tanto teorizzata da Cesare Brandi nella sua Teoria del Restauro) , lontana dalle aspettative di un' ormai obsoleta fruizione sinestesica dell'opera capace un tempo di coglierne in una la complessa struttura .

La "differenziazione estetica" dell'opera d'arte nell'epoca attuale (secondo le note riflessioni di Hans Georg Gadamer) dispone a una sorta di mutazione genetica che ne agevola la diffusione planetaria ma ne snatura quelle prerogative che sono legate alla tecnica esecutiva , al supporto originale nonché al suo stato di conservazione , in nome di una ottimizzazione della sua leggibilità che riceve il suo crisma proprio all'interno degli obiettivi del cosiddetto restauro virtuale . La perdita del suo "spessore" viene compensata dalla presentificazione ubiquitaria garantita dalla diffusione , che sospende il rapporto col qui ed ora e lo trasforma in una sorta di sempre- dovunque . L'opera non rivela il sedimentarsi ma l' annullarsi del tempo , un tempo che contribuisce alla rarefazione della sua matericità . Strano destino quello dei moderni cultori del patrimonio artistico : dover assaporare una sensazione di onnipotenza percettiva e fruitiva , di compiuta e acquetante assimilazione storica dell'oggetto ( si pensi al tanto sbandierato scientismo che accompagna il recente restauro del Cenacolo Vinciano) proprio nel momento in cui quell'oggetto stesso , impoverito della sua complessità, si offre al recettore come qualcosa di dimidiato , di estenuato .

 

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