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L'estesia e la comunicazione di Paolo Fabbri
(Parol on line, dicembre 1999) Intervista a cura di Massimo Franceschetti

[Massimo Franceschetti è consulente in comunicazione.]

Paolo Fabbri [Su e per Paolo Fabbri è da poco uscito un testo Eloquio del senso. Dialoghi semiotici per Paolo Fabbri, (Costa & Nolan, Milano, 1999) con ampia bibliografia e documentazione.], figura di spicco della semiotica italiana ed europea, sollecitato dalla rivista Parol, presenta qui delle sue riflessioni sul tema della comunicazione, sotto forma d'intervista. A dire il vero sono almeno dieci anni che lo "intervisto", che pongo domande e ricevo risposte che sollevano altre domande. Così, a conclusione di quest'ennesimo dialogo mi sembra naturale continuare a pormi delle domande di fronte alle risposte che egli ha dato, continuando così, ancora una volta, il nostro dialogo.

Ci sono, in questa intervista, diversi punti che confermano alcune posizioni che la semiotica greimasiana, di cui Fabbri è uno dei maggior esponenti (o, preferirei dire, come si direbbe di un musicista, uno dei suoi maggior interpreti). Il tema della comunicazione, nella semiotica greimasiana, è via via confluito nel termine di "enunciazione" e inglobato in una più generale riflessione sui processi di significazione.

L'approccio semiotico è quello di tradurre la questione "comunicazione" in termini coerenti ai propri criteri di pertinenza. Il semiotico sarà allora interessato ad analizzare e rendere conto, nei testi - di cui egli stesso definisce e delimita il formato -, i modi di costruzione delle situazioni comunicative. Non interessano tanto le fenomenologie della comunicazione, ma i modo attraverso i quali i testi comunicano e rappresentano la comunicazione.

Questioni assodate da chi frequenta testi e riflessioni semiotiche, che possono essere interessanti ed utili invece per chi non le frequenta ancora e avesse interesse a comprendere la posizione della semiotica nei confronti del tema della comunicazione.

Di seguito a queste, Fabbri fa alcune affermazioni che possono essere uno spunto interessante per ricollocare il tema della comunicazione in un quadro di riflessione diverso. Poiché credo che di questo ci sia necessità, parlando di comunicazione: non tanto di una definizione del termine, forse nemmeno così pertinente, ma un mutamento delle condizioni di riflessione sul tema. Si tratta di fare un salto epistemologico. Il tema della comunicazione è interessante soprattutto se c'invita a fare una ricognizione delle nostre categorie.

Egli afferma che il processo comunicativo si costruisce insieme al testo, né è una parte costitutiva. Nello stesso tempo egli afferma che esiste alla base dei processi di significazione e di comunicazione (per la semiotica sono la stessa cosa) un'articolazione estesica, un'empatia. Fabbri ipotizza che la significazione si costruisce a partire da un collegamento, una connessione, un legame con il mondo che gli preesiste e che è definito come estesico. Empatia ed estesia significano articolazione del sentire e del pensare, e non sono certamente dimensioni mistiche, trascendenti, ma dimensioni articolabili e testualizzate. Al semiotico interessano tali articolazioni e il tema interessa nella misura in cui è possibile costruire queste articolazioni, descriverne la loro rete.

In questo modo Fabbri recupera e rilancia una dimensione che la semiotica greimasiana sta approfondendo da diverso tempo: la dimensione estesica della significazione [L'ultimo testo di A. J. Greimas, Dell'Imperfezione, (Sellerio, Palermo, 1991) tratta proprio del ruolo dei processi estesici nella significazione e nella narrazione e avviava la riflessione sul tema.]. In questo senso sembra che la nozione di "comunicazione", seppur da considerare sempre in quanto rappresentata dai testi, acquisti una dimensione in più: non più soltanto processo di interrelazione o negoziazione del senso in funzione di un legame da costruire, ma dimensione fondante i processi di significazione. Si significa, si comunica, perché viviamo un'estesia articolata di fondo con il mondo, con noi stessi, con gli altri. Comunichiamo perché siamo già in relazione e non per metterci in relazione. Le articolazioni della significazione prenderebbero le mosse da articolazione estesiche o sinestesiche, come pure Fabbri aggiunge.

Si disegnerebbe così un quadro interessante all'interno del quale porre la questione dello studio della comunicazione come processo di costruzione di relazioni. Se le relazioni preesistono, il quadro all'interno del quale i processi di comunicazione avvengono muta: perché e come si comunica in un contesto in cui già siamo in connessione?

Anche altri temi, apparsi nell'intervista andrebbero allora ridiscussi insieme. In un contesto di comunicazione estesica soggiacente che ruolo ha la nozione di incomunicabilità? Non è forse questa legata ad una visione della comunicazione come trasmissione efficace e quindi come inefficacia della trasmissione? Non è tutto questo limitante? Quando c'è realmente incomunicabilità? Si veda il riferimento al silenzio fatto da Fabbri. Anche quando non si comunica si comunica di non comunicare. Va tenuto presente che essere in disaccordo non è certo incomunicabilità, ma una forma di comunicazione. Esistono invece livelli d'incomunicabilità? Esiste la possibilità che vi sia una comunicabilità di fondo e un'incomunicabilità sempre possibile? Perché la comunicazione non dovrebbe essere considerata il risultato di processi di incomunicabilità insieme con quelli di comunicabilità? In tempi di multiculturalismo, di globalizzazione e di confronto con una diversità che non deve essere più intesa come ostacolo, ma come risorsa, una riflessione sull'incomunicabilità fatta su queste basi può forse essere d'aiuto.

Inoltre: la traducibilità delle lingue riposa proprio su questa possibilità di un'articolazione estesica, oppure abbiamo anche tante articolazioni estesiche legate alle diversità culturali? Fabbri cerca quei fondamenti, tanto a lungo cercati da un certo strutturalismo nella dimensione semantica, in una dimensione che comprenda la dimensione semantica e quella estesica (significante e significato?)?

So già cosa direbbe Fabbri, in ogni caso: che qualsiasi siano le risposte a queste domande, esse andranno coltivate nel giardino della semiotica. Si tratta di un atteggiamento ricorrente nel lavoro di Paolo Fabbri: coniugare la necessità di coerenza di una disciplina con la curiosità e spesso anche la necessità di esplorare fecondi connubi con altre discipline. Attraverso una delimitazione chiara della pertinenza dei luoghi di studio e dei modi d'interrogazione, la semiotica di Paolo Fabbri non ha mai temuto escursioni extra disciplinari che arricchissero quello che una volta si diceva essere lo "sguardo semiotico".

Franceschetti - Qual è il punto di vista della semiotica [Quando si parla di semiotica s'intende la semiotica francese nata nella scuola dello studioso A.J. Greimas. Introduzioni a questa visione dello studio della significazione sono state scritte da diversi autori. Tra questi si veda Alessandro Zinna, Francesco Marsciani, Introduzione alla semiotica generativa, Esculapio, Bologna, 1991. Paolo Fabbri ha pubblicato una serie di lezioni in cui fa il punto dello stato delle cose della semiotica greimasiana contemporanea, La svolta semiotica, Laterza, Roma-Bari, 1998. Per comprendere anche altre posizioni sulla comunicazione all'interno dell'impostazione greimasiana si vedano i lavori di Eric Landowski, in particolare, in italiano, La società riflessa, Meltemi, Roma, 1999, e quelli di Maria Pia Pozzato, in particolare, il capitolo "L'analisi del testo e la cultura di massa nella socio-semiotica" in R. Grandi, I mass media tra testo e contesto, Lupetti, Milano, 1992, pp. 143-194. ] sulla comunicazione?

Fabbri - La semiotica si propone come una disciplina che studia i modi di funzionamento del senso. Pensa che il senso vada articolato con degli strumenti concettuali per diventare significato. La semiotica quindi studia i significati in quanto articolazione formale del senso. Ora, il senso è tra gli uomini, le nostre relazioni sono dotate di significati ed essi sono costruiti dagli uomini. Il senso può essere costruito o distrutto, oppure trasformato e poi esposto, espresso, trasmesso, e quindi recepito e interpretato.

La semiotica pensa di far parte delle discipline che s'interessano di comunicazione, il problema è come si definisce la comunicazione. Se la comunicazione è definita in termini di tipo informazionale, cioè come meccanismi di comunicazione, nei termini d'ottimizzazione del segnale e sprovvista di soggetti competenti, dotati di capacità di costruire, trasformare e trasmettere il significato, non c'è alcuno spazio per la riflessione semiotica. Se invece la comunicazione è intesa come capacità dei linguaggi di costruire e veicolare del significato, allora la comunicazione può interessare la semiotica. I linguaggi, infatti, non sono soltanto un sistema di rappresentazione, ma sono anche sostanze, modalità espressive. È evidente che la semiotica deve tenere presente non solo il contenuto rappresentativo dei segni, ma anche la sostanza espressiva attraverso la quale i segni sono comunicati. Da questo punto di vista la semiotica è una disciplina che considera la comunicazione come una delle sue componenti.

Comunicare è però diventato un verbo intransitivo. Esso ha perso ogni significato ed ogni specificazione. Comunicare significa oramai entrare in contatto all'interno di relazioni sensate: alla semiotica quest'idea di comunicazione non serve e non interessa. O si hanno dei modi articolati di descrivere i fenomeni di comunicazione, altrimenti se tutto diviene comunicazione non è più possibile dire qualcosa di sensato.

Un modo originale attraverso il quale i semiotici affrontano la questione della comunicazione è quella di studiare nei testi, che spesso sono oggetti della comunicazione, le forme comunicative iscritte nella loro forma stessa. Un esempio molto banale sono i testi verbali che contengono pronomi del tipo "io/tu". In questo caso, quando parlo e do del tu all'altro instauro una relazione con l'altro in cui posso assumere anche il suo punto di vista. Quest'idea, che mi sembra originale e che chiamiamo "enunciazione", è il modo in cui i testi organizzano al loro interno dei simulacri dei fenomeni di comunicazione, di tipo molto diverso, obbiettivandolo. Esistono testi che simulano che non ci sia comunicazione, e testi invece che hanno una forte carica comunicativa iscritta e manifestata al loro interno.

Lo studio dei testi, lungi dall'essere uno studio che si oppone al modo in cui i testi sono emessi e recepiti, è una delle tecniche per studiare, all'interno dei testi, le modalità comunicative che essi propongono: e questo può andare da un testo verbale ad un testo visivo. S'immagini quante volte nella rappresentazione visiva c'è un'esplicita relazione tra testo e chi lo guarda, dove ci sono delle relazioni comunicative che sono rappresentate con la costruzione esplicita di osservatori che sono però creati dal testo stesso. Si guardi il manifesto "I want you" dove c'è qualcuno che punta decisamente il dito verso qualcun altro, che nell'immagine non c'è, ma è presupposto dal gesto stesso che lo qualifica. Nella storia dell'arte è famoso l'esempio di Vasari, in cui dentro il quadro ha posto una figura che punta in una direzione e con gli occhi attira l'attenzione di un osservatore, che costruisce esso stesso con il quel gesto, al quale indica il punto in cui bisogna guardare. Ecco un atto comunicativo in cui il testo organizza una specie d'istruzione, di suggerimento, di contestualizzazione a chi si porrà della posizione dell'osservatore.

Franceschetti - Cos'è un testo: come si delimita il suo formato?

Fabbri - La tesi di fondo della semiotica è che questa taglia possa essere straordinariamente variabile secondo le forme della semiosi, dal modo in cui una certa forma d'organizzazione dei contenuti incontro una forma espressiva. Un testo può avere una taglia molto diversa: può essere un oggetto del mondo naturale utilizzato per veicolare significato, oppure possono essere testi di enorme complessità.

Questa è un'altra ipotesi della semiotica: ovvero non dobbiamo partire da unità segniche dotate di significato proprio e sperare che la loro somma progressiva produca un significato supplementare ed emergente, ciò che dobbiamo fare è dividere i testi di taglia diversa a livelli diversi sino che c'interessa farlo. Da questo punto di vista è chiaro che possiamo astrarre molto rapidamente da un testo complesso o pure analizzare molto finemente un testo molto breve. Intendo per testo: un vestito, un messaggio musicale, una questione di forme espressive ma soprattutto sostanza dell'espressione: Postuliamo, e questo è molto forte, lo so, un'organizzazione del senso legata al pensiero e alla percezione che possa essere equivalente nonostante la sua manifestazione in forme e sostanze diverse.

Franceschetti - In questo senso allora conta molto lo sguardo dell'analista, la sua scelta. Una domanda del tipo "cos'è la comunicazione" non è una domanda pertinente per la semiotica?

Fabbri - Dipende come si definisce la comunicazione, ad un certo livello la comunicazione coincide con la semiotica stessa. La semiotica vuole rendere conto del modo in cui la comunicazione non si limita a trasferire rappresentazioni, ma a trasformare i soggetti, per esempio, apportando nuove informazione e quindi operando una trasformazione sul piano cognitivo e non limitandosi solo ad uno scambio di rappresentazioni. Esistono, per la semiotica, però, anche altri tipi di trasformazioni, non solo del sapere, che sono trasformazioni di competenza molto forte. Esistono trasformazioni di competenze del tipo modale: dovere, potere, volere. Se lo studio della comunicazione prevede la trasformazione, la distruzione, il mantenimento del desiderio, del senso di responsabilità, degli obblighi e del potere, allora noi siamo sullo stesso piano; se la comunicazione significa trasmissione di informazioni per un incremento o diminuzione delle conoscenze, allora la semiotica è una disciplina che eccede questo tipo di problemi poiché si pone il problema dell'efficacia simbolica. Laddove si continuasse a vedere delle coincidenze sarà bene controllare il tipo di strumenti di ricerca che ci diamo.

Franceschetti - In questo modo i processi di significazione si sovrappongono alla nozione di "comunicazione".

Fabbri - Esatto, i processi di significazione possono essere interni, e abbiamo autocomunicazione, o comunicazione riflessiva, oppure possono essere processi transitivi con trasformazione dell'altro. Prendiamo il silenzio. Il silenzio apparentemente non è un atto comunicativo se pensiamo in termini di pura manifestazione o trasmissione, se pensiamo nei termini di organizzazione del significato è evidente che se uno fa una domanda e un altro non risponde quando l'altro dovrebbe rispondere questo silenzio è d'importanza fondamentale. Questo mi sembra il modo in cui ci separiamo da una teoria empirista della comunicazione

Franceschetti - Come definisce, la semiotica, l'estesia e quale ruolo ha, questa nozione, nel ambito della comunicazione?

Fabbri - Anzitutto va fatta una premessa, alla semiotica interessa solo il momento in cui c'è correlazione tra significante e significato. La semiotica si pone, ovviamente, le questioni riguardanti la percezione - nell'estesia questo è fondamentale - ma la questione si pone solo quando questa è correlata ad un significato. Infatti, si possono studiare dei sintomi senza collegarli a significati precisi, come le stimolazioni elettriche. Possiamo allora mostrare che c'è un circuito in cui si sparano dei neuroni, quando cominciamo a correlare i neuroni nella loro trasduzione nelle loro mappe neurali e mostriamo come le mappe si traducono l'una nell'altra, a questo punto siamo nella condizione per notare se esistono delle differenze, ad esempio quella acustica o visiva o quella olfattiva, che sono organizzate dal punto di vista del significato. È chiaro che ci interessiamo all'articolazione significativa del corpo. In termini fenomenologici non c'interessa la carne, che è il presupposto, c'interessa il modo in cui a partire dalla carne si fa corpo e il corpo è struttura altamente significativa e articolata significativamente.

L'estesia è interessante perché il corpo è quello strano oggetto che fa parte del mondo ed è anche il punto di vista dell'istanza del soggetto. Il corpo è istanza del soggetto e parte del mondo, ecco perché la comunicazione e la percezione estesica della comunicazione è molto interessante. Naturalmente, c'interessa soltanto sul piano del significato, includendo il modo in cui le informazioni sono trasdotte e tradotte in livello di senso.

Il secondo problema del gioco estesico porta sulla questione delle semiotiche sincretiche: mentre l'abitudine della vecchia semiotica era di separare i sistemi di segni, immaginando che ognuno di essi fosse autonomo e portatore di proprie logiche interne, cosa che è parzialmente vera, oggi la semiotica pensa alla percezione come percezione simultanea di messaggi multimodali, e quindi il problema della significazione dei testi non è riducibile alla somma dei tipi di testi, ma si deve partire dalla complessità dei testi e poi vedere che ruolo giocano i segni che provengono da sostanze diverse e quindi da modalità diverse. È profondamente diverso ascoltare, dove non è detto che si emetta, da toccare dove si è toccante e toccato allo stesso tempo. È evidente che esistono delle proprietà intrinseche, ma è anche vero che esiste una possibilità di traduzione tra i sistemi di segni. Questo spiega perché la traduzione è un tema sempre più importante in semiotica. Le omologazioni tra sensi si possono fare sul piano di configurazione del significato, ma anche sul piano dell'espressione. Ad esempio, prova ad immaginare uno spazio molto grande, chiudi gli occhi mentre ascolti una musica. Se c'è un riverbero straordinario posso provocare il senso di un grande spazio aperto. Così lo spazio può essere reso o da un riverbero musicale o da una osservazione spaziale: configurazioni traducibili o processi traducibili gli uni negli altri.

Faccio un altro esempio conosciuto: noi articoliamo il processo percettivo di un profumo o di un vino più o meno con un processo omologabile: c'è una testa, un corpo e una coda. In altre parole c'è un attacco di percezione, c'è uno svilupparsi della sensazione e poi c'è un residuo di fondo che lascia, e tutto questo lo usiamo sia per il gusto sia per l'olfatto. Ciò significa che è possibile trovare forme d'organizzazione che possono essere traducibili tra sensi. Ecco perché gli studi dell'estesia hanno un interesse per lo studio semiotico, poiché la semiotica può offrire un modello di funzionamento di questo tipo di percorsi. Ad esempio, accorgersi che esiste un processo significa pensare in termini di aspettualità e quindi significa sottolineare un punto di vista sul processo: si può focalizzare l'attacco, la fine o il momento fondamentale e questo sia sul piano uditivo che olfattivo. In altri termini, introdurre delle nozioni che sembrano linguistiche, ma che in realtà sono semantiche, mi sembra molto utile perché può servire allo studio di un'estesia e darci delle indicazioni preziose sul piano delle comunicazioni, quando si tenga conto della differenza delle sostanze, senza per questo considerarle in termini di una separazione: da una parte l'acustico, imparagonabile con il tattile e via dicendo. Ritengo che aver messo a fuoco le forme dell'espressione consente una maggiore capacità descrittiva dei fenomeni di estesia, o come potremmo anche chiamarla, "sinestesia" vecchia parola di gran significato.

Franceschetti - L'estesia interviene in modo particolare negli studi di tipo estetico?

Fabbri - Sì, anche se darei alla parola "estetica" un tono modesto. Mi spiego. Quando si è trattato di mettere a fuoco, nella semiotica, la dimensione passionale una delle strategie adottate è stata quella di dire: abbiamo studiato la forma narrativa, ma non abbiamo studiato le passioni che corrispondono a queste azioni, vale a dire il modo in cui le passioni sono definite dalle azioni che agiscono su di esse, cioè l'affetto, in francese si dice "affetto da". Così come in quell'occasione avevamo superato l'opposizione tra azione e passione, e abbiamo correlato in modo nuovo i due concetti, così dobbiamo fare lo stesso per ciò che riguarda estesia ed estetica. Nello studio dell'estetica si ritrova l'estesia, la percezione, come si vede in Ferraris. C'è un ritorno al percettivo significante, per studiare quelli che si potrebbero chiamare gli "stili di vita".

È interessante porsi la questione degli stili di vita come scelta di un certo tipo di correlazione estesica che caratterizza le modalità percettive di soggetti comunicanti: il modo in cui si veste qualcuno, come mangia, come tocca, come si dispone nello spazio, il modo in cui gode. In altre parole si tratta di seguire il modo in cui si organizza la sensibilità: ipoestesia, iperestesia o anestesia.

Esistono modi in cui culture diverse, ma anche subculture diverse, e anche gruppi, organizzano degli stili di vita, li producono, li vendono, li acquistano come tali e li modificano. Oggi, è probabile, e le culture giovanili ci hanno dato dei buonissimi esempi, che la semiotica abbia sopravvalutato la dimensione concettuale e comunicativa di tipo verbale, mentre gran parte delle cose importanti che succedono nella trasformazione emotiva, percettiva e anche concettuale passano attraverso canali che non sono quelli di una volta. La musica è un esempio spettacolare. È probabile che questo accada anche nel cibo. Ciò che m'interessa è vedere fino a che punto si può andare nella descrizione di questi stili di vita, che non sarebbero più le visioni del mondo, ma che so io, per metterci tutte altre cose: i profumi del mondo, le sensibilità del mondo, i gusti del mondo.

Così, tipi di comunicazione abituali, fortemente articolati sul piano dell'organizzazione linguistica, possono essere sostituiti da forme di comunicazione meno categorizzabili. È chiaro che esistono, in altre dimensioni percettive, forme di continuo, di graduale, dove si rivela importante il processo di intensificazione o de-intesificazione. Il mondo dei sapori, ad esempio, è fatto di discontinuità leggibili, ma è anche un mondo in cui sono presenti variazioni importanti d'intensità. A questo punto sarebbe un errore molto grave se s'ignorassero i fenomeni di tensione, mentre è vero che la vecchia analisi semiotica procedeva per grandi sistemi grammaticali e per discontinuità. Questi fenomeni aprono spazi nuovi e interessanti e incontrano grandi categorie dell'estetica come, ad esempio, la nozione di sublime. Si tratta di una nozione che ritorna come un piede di porco utile a scardinare quelle parti della teoria dell'estetica in cui sono presenti salti improvvisi dalla luce all'ombra, gigantesca tempeste, abissi, estensione smisurata. La nozione di sublime interviene per mostrare quanto gioca il sensibile e il suo sproporzionato e proporzionato e non il suo categoriale.

Ora e naturalmente, tutte le forme percettive sono suscettibili d'ulteriore codificazione: esistono stili di vita testualizzati, ma non grammaticalizzati. È sempre possibile grammaticalizzare stili di vita. La semiotica può portare ad un'estetica della vita quotidiana. In questo momento si sta lavorando su questo e meno alla grande problematica del bello e del brutto, anche perché sappiamo che il bello può essere brutto, ma soprattutto che il brutto può essere bellissimo, che c'è un'estetica del brutto. Ecco, se dovessi affrontare dei problemi di estetica riaffronterei la nozione di sublime come nozione che è nello stesso tempo marginale e centrale nello studio di estesia, che ci dà nuovi concetti e nuovi strumenti. Eviterei la fondamentale problematica dei fondamenti del Bello.

Per altro ho l'impressione che molte delle decisioni etiche, e qui voglio esagerare, abbiano una base estesica. Mi spiego. Nelle relazioni comunicative, molte delle relazioni che abbiamo sono presupposte e non sono esplicitate in una qualche forma. Tutto quello che i seguaci di Grice hanno chiamato le "implicature" che fanno sì che capiamo l'altro riempendo per catalisi gli elementi mancanti. Si può chiamare, tutto questo, anche "cooperazione" o "principio di carità". Questi sono aspetti fondanti la comunicazione stessa. Tutto ciò però nasconde un punto fondamentale: non sempre siamo d'accordo. Esiste anche il conflitto e non solo carità. Certo, si può obiettare che per avere conflitto bisogna essere d'accordo. È però più importante il fatto che un tentativo di fondazione etica, a partire dalla carità, ci rende molto difficile comprendere una comunicazione marziale, in tempo di guerra. Nella situazione di comunicazione conflittuale, in cui lo scopo è vincere e non informare, c'è una vertiginosa distorsione del sistema: la parte più debole è quella più forte perché è quella che presidierò di più, mentre la parte più forte sarà più debole, perché la lascerò sguarnita. Quindi esiste una forma di comunicazione, che chiamo scherzosamente marziale, come esiste una legge civile e una marziale, che si trova in condizioni di trasformazione delle condizioni di verità, ma che resta comunicazione, sanguinosa, ma pur sempre comunicazione.

Ciò che resta più profondamente dietro uno stato di conflitto, dietro la carità, dietro le forme comunicative comunque esse siano intese, è un'empatia di fondo, un'estesia fondante. L'estetica fonda le relazioni che noi vorremmo fondare sull'etica. C'è un'empatia - empatia è una brutta parola perché si ha l'impressione che non si possa andare più avanti - ma che ci sia un'articolazione di un sentire - sottolineo "articolazione" contro il banale sentire - che sostiene e garantisce le nostre forme d'esperienza ed è lì la base semiotica.

Una volta ho scritto sull'agente doppio ["Siamo tutti agenti doppi", Carte Semiotiche, 9, 1992.]. L'agente doppio arriva ad un tale grado di tradimento reciproco che non capisce più a che fedeltà sta obbedendo, e c'è un solo modo per uscire dalla vertigine ed è molto spesso fare/avere delle esperienze profondamente estesiche: una luce, un sapore, una percezione estetizzata: l'aria, il riconoscimento del proprio paese, il disgusto per un odore. Immediatamente si ritrova la fedeltà e generalmente, una volta ritrovata la fedeltà, l'agente doppio muore.

Quest'idea che in qualche modo se c'è una fedeltà questa fedeltà non è ancorata a dei principi etici, ma ad un'estesia, non è forse una verità definitiva, ma mi sembra importante per fondare la riflessione sulla comunicazione. C'è una comunicazione che, se non tiene conto di questo patto di estesia fondamentale, non riuscirà mai a spiegarsi.

Nello stesso tempo se da una parte c'è una connessione di fondo, occorre considerare che c'è anche la sconnessione, senza la quale non c'è articolazione e senso, altrimenti siamo nella notte in cui tutti i topi sono neri.

Ho scritto un saggio su Babele ["Elogio di Babele", Sfera, 28.] in cui affermo che Babele non è un crimine. Babele è al contrario il termine naturale di un'operazione iniziata con la creazione del mondo. Il processo di divisione a partire da un'unità che caratterizza la Genesi arriva anche al linguaggio: un linguaggio tanti linguaggi. La comunicazione non è l'atto generale per cui tutti gli uomini devono andare d'accordo e, a forza di connessione, dovrebbero arrivare alla fine a parlare delle stesse cose. La mia immagine è che tutte le lingue sono diverse, ma traducibili. Esistono tantissime lingue diverse ed è una cosa straordinaria, poiché la continua comunicazione tra ciò che è incomunicabile produce forme nuove di significazione. È l'incomunicabile che c'interessa come risorsa per la comunicazione. In questo senso non so se accetterei l'idea di un'evoluzione biologica che va verso una crescente compenetrazione di elementi. Io credo che vada anche verso una differenziazione che consente di mettere in contatto ciò che è separato.

È vero, come affermano alcuni, che tutto è connesso, ma è anche vero che esistono delle discontinuità. Ne esiste una, fondamentale, che costituisce per me un punto interrogativo. Quand'è che il tipo di livello di organizzazione animale provoca quel fenomeno di discontinuità che permette l'insorgenza della dimensione simbolica? Quando succede questo? Io non so dare una risposta.

Franceschetti - Humberto Maturana e Francisco Varela trovano questo momento nel il momento in cui il nostro sistema nervoso diventa così complesso da costruire un accoppiamento strutturale non solo con l'ambiente circostante, ma anche con se stesso [Si veda il testo scritto dai due autori, L'albero della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1985.].

Fabbri - D'accordo, però resta il problema della diversità delle lingue. Attualmente non c'è risposta. Tutti abbiamo istinto linguistico, e questa è una cosa, che le lingue siano tutte diverse è un'altra. Maturana e Varela devono rispondere al fatto che siamo tutti uomini, e da questo punto di vista non c'è relativismo che tenga, poi però devono rispondere al fatto che lingue diverse sono - se pensiamo che pensiamo per parlare o rappresentare visivamente, se pensiamo che ci sia una forma del pensiero - delle organizzazioni dei contenuti che prendono forme e organizzazioni espressive diverse, e lingue diverse esprimono diversamente cose che certamente abbiamo in comune.

Franceschetti - Va bene. Torniamo alla comunicazione intesa in senso semiotico. L'enunciazione è un momento nella fase di generazione del senso: è la messa in discorso o discorsivizzazione. Ci puoi dire qualcosa di più a questo proposito?

Fabbri - Ci sono tre componenti della discorsività: la prima è l'attorialità, la seconda è la spazialità e la terza è la temporalità. Se parliamo di comunicazione in presenza è evidente che la dimensione temporale gioca un ruolo importante. Esistono però problemi di mediazione e i vari media permettono comunicazione a distanza in cui avremo un certo tipo di informazioni e non altre e così via.

La problematica spaziale resta dipendente della significazione. È probabile che si possa affermare che stiamo evolvendo verso una massima autonomia rispetto al luogo, come stiamo evolvendo verso una massima autonomia rispetto alla temporalità o al corpo. Sia il tempo che il luogo sono supporti che vanno articolati. C'è una "koré", una terra, di cui facciamo parte, a cui possiamo tornare attraverso pratiche scientifiche e artistiche. Ritornare a questa "koré" fondamentale per riarticolarla di nuovo, senza voler privilegiare il luogo.

Il tempo, infatti, presenta lo stesso problema. Anche ritornare ad esperienze del tempo non croniche, che non sono state articolate da certi modi di pensare la temporalità. Penso a fenomeni statici o a ciò che Virilio chiama la "dimensione picnica", ovvero il fatto che si hanno brevissime interruzioni di intervalli percettivi in cui non si percepisce ciò che accade in mezzo. Si tratta di esempi di come possono esserci situazioni in cui il tempo gioca un ruolo decisivo.

Molto spesso le arti del tempo si sono trasformate in arti dello spazio, per esempio basta pensare ala musica contemporanea: da Beethoven in poi la musica considerata per molto tempo l'arte del tempo è diventata arte spazializzata. Così la poesia, che è una utilizzazione della lingua, la quale è temporalizzata, dal momento in cui impiega strategie come la rima, che è una strategia per percepire elementi in simultaneità, chiaramente ha una funzione spazializzante.

Il ruolo della dimensione spaziale è importante senza sottovalutare le altre. Un'altra importantissima dimensione è quella della soggettività. Siamo tutti ossessionati sia dall'idea di un corpo, unico, nostro sia dalla protesi, cioè dalla capacità estensive del nostro corpo. Esiste a questo proposito uno strumento semiotico molto semplice ed efficace: la nozione di embrayage e debrayage. Debrayare e embrayare, come si dice in gergo semiotico, sono due verbi che indicano la capacità di delegare ad attori autonomi una competenza (debrayage) oppure di recuperare su di sé le competenze delegate a strumenti (embrayage).

Con una simile nozione noi possiamo rendere conto oggi di una serie di strategie di variazione delle competenze del corpo. Possiamo studiare, l'estensione o la necrotizzazione, come diceva bene McLuhan, di certe competenze: cosa una protesi ci toglie mentre ci aggiunge altro. Anche qui, ho l'impressione che ci sia una visione della soggettività identificata con il corpo, mentre la semiotica ci ha dimostrato che non è vero e che la soggettività esiste anche altrove. Credo che la problematica della protesi vada ripensata, perché altera i problemi spazio temporali. Tutto attorno a noi manipola lo spazio e il tempo. Una semiotica quale la penso io terrebbe in considerazione questi elementi.

Franceschetti - Ma a quale semiotica ti riferisci?

Fabbri - Non a quella di Peirce [C.S. Peirce, filosofo americano, vissuto nella seconda metà dell'Ottocento, indicato come fondatore del pragmatismo, ma anche della semiotica cognitiva. Si veda la raccolta di scritti dell'autore, Semiotica, Einaudi, Torino.] , che è un'epistemologia generale del segno. Ho l'impressione che Eco considera di essere passato da un'estetica verso un'epistemologia. Sono convinto che il suo modello Quillian [Si veda U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1975.] e le sue enciclopedie sono l'epistemologizzazione del concetto di "opera aperta". Credo invece che la semiotica francese, di provenienza greimasiana, sia più attenta a come diverse sostanze espressive siano suscettibili di produrre concetti non riducibili alla costruzioni epistemologica generale che le prende in esame.

Prendiamo la poesia. Mentre una poesia parla o rappresenta l'amore, ad esempio, con sue forme specifiche, attraverso l'organizzazione delle rime, la distribuzione delle assonanze, la distribuzione di parole nello spazio, aggiunge elementi non immediatamente visibili.

L'arte è un luogo dove, con mezzi propri, si esercita un sorta di esperimento del pensiero suscettibile di accrescere il pensiero della filosofia, dell'epistemologia. Dall'arte mi aspetto che oltre ad emozionare e trasformare, pensi. E pensi con mezzi propri, dando modo alla semiotica di aumentare il proprio pensiero.

Era l'idea di Jakobson: la poesia non uno scarto rispetto al discorso normale, ma è il linguaggio naturale nella sua massima espressione. Il linguaggio comune è un suo adattamento per certi scopi.

La semiotica cerca nell'arte l'esplicitazione dei modi di pensiero. La pittura usa parte dei propri segni certamente per veicolare dei significati per trasformare delle passioni e delle emozioni, ma utilizza delle parti di sé a fini metapittorici. Gli studi degli ultimi anni hanno messo in evidenza come elementi quali il quadro nel quadro, lo specchio o la finestra, hanno giocato un ruolo non solo di rappresentazione, ma anche di rappresentazione dei sistemi stessi di rappresentazione.

La pittura, instaurando, come il linguaggio comune, delle relazioni particolari tra soggetto e oggetto, provoca delle trasformazioni di questa relazione, quindi non rappresenta soltanto qualcosa, ma anche delle relazioni. Il quadro di Holbein, Gli Ambasciatori, richiede che il soggetto si sposti per riconoscere nella macchia distorta in mezzo al quadro un teschio, ma si vede solo da un certo punto di vista da cui poi però non si vede più il quadro. Chi guarda deve poi ritornare, con quest'esperienza, al quadro, nel quale non vedrà più il teschio, ma vedrà l'anamorfosi o una realtà anamorfosizzata. Gran parte dei sistemi di rappresentazione sono esperimenti di questo genere. Nella prospettiva rovesciata siamo noi che siamo guardati e siamo il punto di fuga della prospettiva, non il contrario. Questo tipo di configurazione ha un ruolo decisivo nella modificazione comunicativa: una cosa è essere colui che guarda nella profondità dello spazio e un'altra è essere chi è guardato dal grande occhio di Dio che li guarda nella pittura Bizantina. Queste esperienze di comunicazione sono esperimenti di pensiero e di relazione.

Franceschetti - Si tratta di strategie d'enunciazione. Ritorniamo, per chiudere, all'inizio. Il ruolo dell'enunciazione.

Fabbri - La semiotica non è una disciplina con una tradizione di migliaia di anni, e il tentativo di costruire una storia della semiotica o di un tema come il segno, è lodevolissimo, ma perde la forza trasformativa dell'esperienza della riflessione dell'analisi dei testi. La semiotica ha una dimensione empirica e avendo la necessità di disimplicare i propri concetti dai testi, è costretta a cambiare sempre.

La semiotica saussuriana non è la semiotica contemporanea, cosi come la semiotica di Hjelmslev non è la semiotica contemporanea: si è passati da una visione codificata del testo ad un'idea altamente testualizzata, si è correlativamente passati dal considerare i livelli dell'enunciato, vale a dire i livelli semantici che organizzano l'enunciato, e dallo studio della narrazione, ad una grande messa a fuoco della problematica dell'enunciazione. Considerare i testi in termini di enunciazione significa porsi la questione della presenza della soggettività nei testi. Una soggettività che si dà in forma comunicativa o come assenza di forma dialogica o come forma dialogica marcata, in terza persona o in seconda.

A che punto sta l'enunciazione? Dove posizionarla quando si costruisce l'economia di un linguaggio? All'inizio, come una soggettività intenzionale che inquadra il senso dei testi prodotti? In questo caso avremo una semiotica di tipo psicologico, e non è il mio caso. Un'altra cosa è sostenere che soltanto le formazioni discorsive definiscono la pertinenza della soggettività e di dove essa deve apparire. Questo è la posizione di Michel Foucault [L'archeologia del sapere, Rizzoli, Milano, 1980.].

Il terzo punto di vista è quello di pensare l'enunciazione come un modello ad imbuto. Ci sono le strutture antropologiche generali che ad un certo punto sono selezionate da un attore già scisso in due, emittente e ricevente, il quale le trasforma in un testo. Il testo è il risultato di una serie di operazioni enunciative che sono già a mio avviso simulacri di comunicazione. Il tutto svolto all'interno del gran deposito dell'immaginario collettivo di una cultura se non dell'immaginario umano.

L'insieme delle strutture semiotiche è quindi selezionato all'interno di una situazione comunicativa. L'insieme delle strutture semantiche disponibili è sempre presente e poi all'improvviso, entriamo in rapporto tu ed io e selezioniamo un certo numero di lessici pertinenti alla comunicazione. Certamente noi stessi formiamo queste strutture in modi consapevoli e inconsapevoli, per abitudine, per sedimentazione, ma è vero anche, che tutto questo viene ereditato e selezionato in ogni situazione comunicativa. Al momento dell'interazione si seleziona e sceglie una serie di forme verbali, lessicali, grammaticali e intonazionali in funzione della sua interazione e del suo contesto spazio-temporale che attualizzano questo gigantesco patrimonio semantico.

La semiotica non si pone, per scelta epistemologica, la questione di come tutto questo si sia creato, ma lo dà già per dato e cerca di descrivere le sue forme di articolazione ed espressione.

 

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