events
themes
call for papers
ideology busters
links
staff

Home

Misticismo e dialettica
Renzo Principe


Misticismo, surrealismo e pratica comunicativa

Come prima approssimazione, potremmo dire che in ogni misticismo c'è l'esperienza della perdita, cioè un sentimento positivo della mancanza che porta al bisogno di superare tale condizione alienante, attraverso una illuminazione immediata.

Nonostante B. Russel sia un esponente del Positivismo logico, per il nostro discorso è emblematico il modo in cui egli mette a fuoco il rapporto tra atteggiamento mistico e logica. Dal loro confronto egli ricava non una condanna del pensiero intuitivo, ma una alta considerazione dell'immediatezza, anello di congiunzione tra teoria e prassi, tra ragione e sensibilità. Secondo Russel, proprio nell'esperienza dell'illuminazione immediata risiede la credenza in una Realtà superiore[1].

Alla base del misticismo c'è quindi un movimento di negazione e una tensione verso l'ignoto. Una "saggezza nascosta" predispone alla felicità propria della condizione umana, altrimenti velata da false passioni. Essa è desiderabile e raggiungibile nella misura in cui lo spirito si libera dal suo naturale bisogno di razionalizzare e controllare, di fissare e delimitare; per cui, limitato non è soltanto l'uomo o la percezione che esso ha della natura, ma anche il metodo in funzione della conoscenza.

Le credenze precise a cui giungono i mistici sono il risultato della riflessione sull'esperienza indistinta vissuta nell'attimo dell'intuizione. [.] Il primo e più diretto risultato di quel momento di illuminazione, è la credenza nella possibilità di un genere di conoscenza che può essere detto rivelazione, penetrazione o intuito, di contro al senso, alla ragione e alla analisi, che sono considerati come guide cieche che conducono alla palude dell'illusione[2].

Il misticismo non è altro che un modo profondo di concepire l'universo e il legame che l'uomo intrattiene con esso. Per questo motivo il mistico vive in modo conflittuale il rapporto tra la pluralità del mondo sensibile, che per lui è un mondo apparente, e il sentimento di una unità originaria in cui le cose si corrispondono.

Intimamente connessa alla forma di conoscenza intuitiva (mistica), vi è la credenza che dietro la realtà sensibile, vi sia una realtà più vera e diversa da ciò che appare nelle cose quotidiane e costituita come un Tutto indivisibile.

Anche per il misticismo, la derealizzazzione del mondo è quindi in funzione di un sentimento positivo che è alla ricerca di una totalità[3].

Come seconda caratteristica, possiamo quindi aggiungere la "fede nell'unità, e il rifiuto di ammettere l'opposizione o la divisione".

Il superamento della realtà apparente è il passaggio obbligato che il mistico compie attraverso la conciliazione degli opposti:

Questo modo di pensare è conseguenza diretta della natura dell'esperienza mistica: al suo senso d'unità è associato un sentimento di pace infinita.[.]. Sorgono così, quattro quesiti nel considerare la verità o falsità del misticismo, e cioè:

I.                   Esistono due modi di conoscere che possono essere rispettivamente chiamati ragione e intuizione? E se sì, uno è preferibile all'altro?

II.                 È ogni pluralità e divisione illusoria?

III.              Il tempo è irreale?

IV.               Che genere di realtà appartiene al bene e al male?

In tutti e quattro gli interrogativi, mentre il misticismo completamente sviluppato mi sembra errato, credo però che, se sufficientemente limitato, vi sia d'apprendere, dal modo mistico di sentire, un elemento di saggezza, il quale non sembra raggiungibile in nessun altro modo. Se ciò e vero, il misticismo va apprezzato come atteggiamento verso la vita, non come una dottrina sul mondo[4].

È interessante notare che B. Russel considera il misticismo non come una dottrina sul mondo, ma come una prassi comunicativa che lascia spazio all'intuizione; secondo questa linea interpretativa, il misticismo può essere preso come punto di riferimento per analizzare la struttura di ogni rapporto basato sulla formula Io altro.

Russel sembra indicare almeno due modi diversi di considerare l'atteggiamento mistico (comunicativo): quello "completamente sviluppato" e quello "sufficientemente limitato". Nel primo caso, l'io si pone di fronte ad una entità che lo sovrasta e lo annulla: perdersi nella totalità assoluta del divino è qui il fine di ogni esercizio mistico. La scena o la rappresentazione che si concretizza in questo atto comunicativo non può che fondarsi in una visione dicotomica, positiva e unidirezionale della realtà (Dio io). L'unidirezionalità e la dualità sembrano essere le linee guide di questo modo di strutturare il rapporto tra l'io e il mondo. La comunicazione è passiva, nel senso che solo passivamente l'io può intravedere e partecipare alla realtà Assoluta dell'Essere. A questa prima forma di misticismo possiamo ricondurre la mistica cristiana e le grandi razionalizzazioni filosofiche che vanno dall'Idea platonica all'Io-Penso cartesiano, al noumeno kantiano. Ciò che contraddistingue questa linea millenaria del pensiero occidentale è il carattere positivo del segno, è il suo essere esclusivamente presente e visibile.

Attraverso una certa lettura di Hegel, i surrealisti invece si avvicinano al misticismo "sufficientemente limitato".

Poiché il nostro discorso cerca di mettere a fuoco sia l'infondatezza strutturale sia l'elemento ideologico-mitico (nel senso di a-storico) di questo primo modo di considerare l'atteggiamento mistico, è necessario sottolineare che nel misticismo "completamente sviluppato", l'alterità è contemplata solo come luogo proiettivo di una mente divina, cioè rifiutata, in quanto essere in sé, dal sistema chiuso di strutturazione del mondo. Viceversa, nel misticismo "sufficientemente limitato"[5], l'alterità non è obliata ma sembra potersi esprimere come qualcosa che sta al margine dell'atto comunicativo stesso. A quest'ultima forma di misticismo possiamo ricondurre quello profano dei surrealisti. Contrariamente a ciò che si pensa, il surrealismo non è solo una messa in campo dell'irrazionale, ma è altresì una ricerca più profonda di ciò che può entrare a far parte del mondo razionale. Per questo motivo la visione surrealista è sostanzialmente ambigua, dinamica e aperta al gioco delle mescolanze tra reale e immaginario: tentazione per la totalità, per la pienezza e recupero del senso e, nel medesimo tempo, tentazione per la marginalità, l'humor e il non senso. Ma anche tensione verso una unità originaria, verso uno stato primordiale ormai perduto:

[.] ricordiamoci - scrive Breton - che l'idea di surrealismo tende semplicemente al recupero totale della nostra forza psichica con un mezzo che non è altro se non la discesa vertiginosa in noi stessi, l'illuminazione sistematica dei luoghi nascosti[6][6].

Il mondo onirico e l'inconscio sono sentiti come oggetti reali al pari della coscienza e della veglia, poiché divengono, alla luce del surrealismo, oggetti irrazionali razionalizzati. Il tentativo di armonizzare e mettere sullo stesso piano razionale e irrazionale ad esempio, va al di là dell'intenzione romantica, se si esclude un certo modo di interpretare la dialettica hegeliana. Proprio sul terreno dell'irrazionale il surrealismo riconosce il suo debito verso il romanticismo[7]; tuttavia ciò che lo distingue da esso sta proprio nel diverso modo di considerare il rapporto tra Ragione e Intuizione: mentre nell'immagine romantica l'illuminazione penetrante si pone al di là della ragione e in opposizione ad essa, in quella surrealista, ragione e intuizione concorrono, l'una come forza organizzatrice, l'altra come forza negatrice che costringe a nuove formazioni e a nuove organizzazioni.

Per concludere questa prima approssimazione, possiamo dire che al centro di ogni atteggiamento mistico vi sia il bisogno di problematizzare lo scambio comunicativo tra l'io e il mondo. Mentre nella prima forma di misticismo, la differenza e la singolarità sono rimossi in funzione di una totalità assoluta ed escludente, nella seconda lo scambio comunicativo lascia emergere, come sintomi, luoghi marginali ed eterogeneità che trasformano il senso e il valore del concetto di totalità in totalità aperta.

All'idea di struttura aperta, i surrealisti cercarono di ricondurre la surrealtà recuperando sia il mondo sommerso dell'inconscio, sia il rapporto tra l'uomo e i propri oggetti (reali o irreali, di pensiero o materiali).

Ora, per specificare meglio il senso che possiamo ricavare dall'atteggiamento mistico-profano surrealista, bisogna dire che non si tratta né di risalire ad una archeologia mitica (mito dell'origine), né di ricreare teorie dogmatiche di segno contrario e speculari a quelle dominanti. Solo per fare un esempio, è noto che la tentazione da parte dei surrealisti di elevare il "male" e il "basso" ad essere Supremo è stata forte e non solo teorizzata dalla sue ramificazioni devianti: mi riferisco in particolar modo alla famosa polemica di Breton contro Bataille. Nel Secondo Manifesto, la difesa del surrealismo contro i "dissidenti" è volta a salvaguardare il vero atteggiamento del surrealismo ortodosso, che si viene precisando e caratterizzando, al di fuori di ogni logica dualistica, in movimenti successivi che potremmo definire autoparadossi: spaccature interne inevitabili quanto mai intrinseche, strutturali e non strutturali, nel senso che non si sa bene se siano questi movimenti a definire l'architettura surrealista o se, al contrario, sia l'archeologia stessa del surrealismo a produrre contraddizioni interne e paradossali.

In tutti i casi, il surrealismo viene definendosi come una struttura aperta che ha in sé gli elementi necessari per riorganizzare, dall'interno, l'emergere del nuovo. Ciò che è in gioco, come è evidente, non è soltanto la vita del movimento surrealista, ma è soprattutto un certo modo di percepire l'essere nella sua concretezza: l'uomo, le cose e i rapporti che si instaurano fra essi.

Bisogna però stare attenti a non identificare questo gioco di riorganizzazione, o di ristrutturazione come il risultato di un compromesso. Sarebbe più corretto pensare che questi movimenti successivi siano in funzione di alterne deflagrazioni che determinano nuovi assetti strutturali. Questo per dire che il margine, il limite, la differenza, che sono le scintille di queste implosioni, non definiscono mai un universo di oggetti ambivalenti ma, proprio perché sono luoghi imperfetti, marginali e mancanti, determinano un diverso modo di percepire l'essere nella sua totalità.

La totalità che la tentazione mistica-surrealista sembra volere recuperare, si situerebbe così oltre ogni dualità, in un luogo più comprensivo e costitutivo dell'essere, il cui segno fondante non è più quello della presenza e della positività, ma quello della relazione dialettica tra presenza e assenza. Il concetto di negatività, come in Hegel, assume qui un valore fondante: mentre nella visione tradizionale la realtà si fonda sul principio di non contraddizione, la surrealtà, come oggetto del surrealismo, vive in un continuo auto-contraddirsi (autoparadossarsi), in un processo in cui il finito, per usare una terminologia hegeliana, non può mai essere detto definitivamente tale. In quanto segno del negativo, l'oggetto surrealista trova la propria risoluzione solo nell'infinito, diviene gesto simbolico, traccia, indizio e di conseguenza, linguaggio polisenso e polisemico. Il linguaggio surrealista, inteso nella sua accezione più lata è plurivocità in cui emergono zone d'ombra, marginalità poste al di fuori di qualsiasi pre-determinazione o consuetudine; le grammatiche sottese ai codici linguistici tradizionali non sono atte ad illuminare queste zone che sono ai margini del linguaggio stesso. La "ragione" e la "razionalità" surrealista comprende anche queste zone interdette che non vengono escluse come entità non sussistenti; sarebbe un errore pensare che un'analisi corretta del surrealismo debba tenere conto solo degli aspetti irrazionali, dei particolari bizzarri (surreali), senza mai metterli in relazione dialettica con ciò che la mente ha già ordinato e organizzato come razionale, assoluto e sovraindividuale.

Les tâches négatives de la poésie [surrealiste] ne sont donc pas moins importantes que ses tâches positives, elles sont indissolublement liées les unes aux autres par la dialectique du réele. La condition sine qua non de la réintégration de l'homme au point suprême du cosmos c'est la désintégration totale au préalable de la condition humaine présente.

L'ESPRIT DE NÉGATION

Un gouffre nous sépare de ce monde que Dali appelait «la desirée terre de trésors». Impossible d'entrer dans cette terre sans traverser le gouffre. L'on retrouve en effet ici la dialectique perpétuelle de I'existence. Il faut toujours traverser l'hiver avant de retrouver le printemps, [.] la mort avant d'entrer dans l'empyrée. Certes, dans ses moments d'exaltation, le surréalisme se flatte de la conviction qu'il est possible d'atteindre l'empyrée sans passer par la mort, mais il n'évite pas la nécessité de traverser une sorte d'ersatz de la rnort : une zone de périls et de destruction, de même d'ailleurs que les grandes mystiques n'atteignent au mariage mystique qu'après avoir eprouvé vivants des affres aussi terribles que celles de la mort. C'est là peut-être ce qu'evoque Breton quand il écrit: «On traverse, avec un tressaillement, ce que les occùltistes appellent des paysages dangereux»[8].

Il surrealismo e la dialettica hegeliana: per una nuova idea di Totalità.

Non c'è oggi pensiero teoretico di una qualche portata, capace di soddisfare all'esperienza della coscienza (e invero non della sola coscienza, ma anche del corporeo dell'uomo), il quale non si sia nutrito di filosofia hegeliana.

"Aspetti della filosofia hegeliana" in, Theodor W. Adorno, Tre studi su Hegel.

Poiché ormai nessuna logica domina il senso dell'interpretazione, poiché la logica è una interpretazione, è possibile dunque reinterpretare - contro Hegel - la sua propria interpretazione.

"Dall'economia ristretta all'economia generale"in, Jacques Derrida, La scrittura e la differenza.

La tentazione di frequentare luoghi interdetti e pericolosi alla ragione positiva è già presente nel pensiero hegeliano e non possiamo meravigliarci se lo stesso Breton scrive:

«Eppure Hegel è venuto. [.] È venuto e ha fatto giustizia in anticipo delle vuote diatribe che ci vengono rivolte. [.] Dico che ancora oggi dobbiamo rivolgerci a Hegel se ci interroghiamo sulla fondatezza o meno dell'attività surrealista nelle arti»[9].

È possibile che Hegel, massimo esponente del pensiero razionale, sia considerato dai surrealisti il punto di riferimento teorico e guida per la loro azione politica?

Come capire il rapporto sottile che lega movimenti così apparentemente distanti, come il marxismo, il surrealismo e la psicoanalisi, senza poterli interpretare alla luce della loro filiazione comune, vale a dire la dialettica hegeliana?

Non avere paura della morte, è uno degli aspetti del pensiero hegeliano più vicini alla visione mistico-profana del surrealismo. L'eredità che Hegel ha lasciato alla filosofia contemporanea ruota attorno a questo sentimento della perdita e della frattura. Solo passando attraverso di esso è possibile, in senso conoscitivo, parlare di realtà trascendente, di condizione sospesa tra l'ignoto e il noto. Questa formula hegeliana è la chiave di volta che ci permette di capire verso quali direzioni si è volto il surrealismo e quali influenze esso ha prodotto sulla nostra contemporaneità. Infatti in essa si coagula tutta la consapevolezza dell'essere, rispetto alla propria finitezza; Non avere paura della morte è il movimento dialettico attraverso il quale la coscienza si trasforma in autocoscienza e coglie il vero senso dell'universale.

«Dove la dialettica hegeliana non funziona, non c'è per me pensiero, non c'è speranza di verità»[10].

Ancora nel 1952, passata la fase marxista del surrealismo (1930/1935), il riferimento di Breton alla dialettica hegeliana non è qualcosa di superficiale che rientri semplicemente nell'economia del discorso surrealista, ma è qualcosa di molto più profondo; infatti, grazie alla filiazione Hegel-Marx, Breton non vuole soltanto indicare l'origine del materialismo dialettico o la "Situazione politica del surrealismo", ma più ambiziosamente vuole fare emergere qualcosa che è strettamente affine al surrealismo e al pensiero hegeliano, vale a dire una nuova idea di totalità che rappresenti concretamente, e non solo in via puramente teorica, la vera struttura dell'esperienza. Nell'intenzione di Breton vi è dunque l'aspirazione a leggere la struttura dell'esperienza, tenendo come punto di riferimento il concetto di negatività che emerge nella dialettica hegeliana; per questo motivo, non possiamo essere completamente d'accordo con F. Alquié quando afferma che l'interesse di Breton verso Hegel è volto esclusivamente alla lettura di Marx:

Breton - scrive Alquié - è stato spinto a sottolineare la struttura hegeliana delle analisi di Marx e a chiarire e a valorizzare Marx attraverso Hegel. In questo modo Breton ha approfondito la sua intuizione o almeno ritrovato uno spirito simile al suo? Non lo penso. Breton sente il dovere di affermare e sostenere i diritti dell'uomo nella sua individualità ed è per una specie di evidenza non concettuale che ne scorge il valore[11].

Così, secondo Alquié, non vi sarebbe nessun legame tra le intuizioni del surrealismo e il pensiero di Hegel, poiché l'intento dei surrealisti è quello di valorizzare l'uomo e le sue facoltà nel suo essere individuale, mentre Hegel «preferisce sempre la storia all'individuo, il linguaggio discorsivo all'evidenza intuitiva, la verità universalizzata alla certezza individuale»[12].

L'amore di Breton per Hegel, riaffermato nei recenti Entretiens, non può, pertanto, ed è chiaro, sostenersi su un puro malinteso. Ha soprattutto una radice passionale nella reazione del giovane Breton contro i sarcasmi antihegeliani del suo professore di filosofia, [.][13].

A nostro parere, questo modo di vedere il rapporto tra surrealismo ed hegelismo deriva da una lettura tradizionale della dialettica hegeliana fortemente radicata, lettura che ne sottolinea soprattutto l'aspetto sistematico; certamente in Hegel l'idea di assoluto e di totalità si presenta come un circolo chiuso, la Ragione assoluta è definita da Hegel il circolo dei circoli. La stessa nozione hegeliana di "Aufhebung" è di difficile interpretazione poiché vuol dire "negare mantenendo", nozione ambigua che rischia di vanificare il concetto stesso di negatività presente nella dialettica.

Il nostro intento tuttavia, è quello di mostrare che se si considera il movimento dell'antitesi (negativo) come suo unico momento fondante è possibile leggere la dialettica di Hegel come una struttura aperta. Solo attraverso una lettura tradizionale della dialettica, Alquié può affermare che Breton, in realtà, sembra essere più vicino al pensiero di Descartes piuttosto che a quello di Hegel. L'Io penso cartesiano a differenza della Ragione hegeliana sarebbe così un momento universalizzante, ma posto dall'uomo. Tutta la sua argomentazione si fonda sulla distinzione tra individuale e sovraindividuale, tra un atteggiamento che riconduce la struttura dell'esperienza ad un senso logico sovra-determinato e un altro che la pone come momento intuitivo e immediato. Naturalmente, secondo Alquié, tutta l'esperienza per Hegel è da ricondurre sotto il controllo della Ragione, che in se stessa è un atto di trascendenza sovraindividuale, atto che non tocca minimamente il singolo uomo. Allo stesso modo le intuizioni surrealiste non potrebbero trovare il proprio fondamento nel sistema hegeliano; differente sarebbe invece il tipo di riconciliazione che Breton sogna per unificare l'uomo e renderlo così in grado di controllare, direttamente e consapevolmente, la propria azione:

[.] In Breton il fondamento della certezza è individuale, l'infinito è ribelle al controllo di una ragione logica e non si lascia ridurre a un linguaggio discorsivo. Se, in Breton, Dio non fosse negato, tutto ciò sarebbe cartesiano. La poesia prende qui il posto della "meditazione" cartesiana. La poesia porta il peso di tutta l'attesa dell'uomo e raccoglie l'eredità della religione.

Il progetto di Breton, perciò, assume la forma di una speranza irriducibile ma razionalmente non giustificata. Per Hegel, la storia è il luogo del linguaggio e lo strumento dell'universalità. Per Breton l'uomo si annuncia nel segno e nelle meravigliose speranze che vi si esprimono. La poesia non tenta di disporsi in una logica che le darebbe il suo senso, ma diviene essa stessa alogica e conferisce al mondo un significato nuovo[14].

Non c'è dubbio che la cultura surrealista sia contro la religione, intesa come sistema di regole e dogmi e, nello stesso tempo, si ponga il problema di riconciliare l'uomo con tutta quella parte di sé e fuori di sé che è in relazione con il sacro. Ma la speranza in un mondo migliore, l'attesa in un uomo rinnovato e riconciliato non si realizzano necessariamente attraverso l'immediatezza dell'esperienza immediata. Concordiamo con Alquié sul fatto che il linguaggio poetico, la poesia surrealista, sia una forma di espressione spirituale, atta a cogliere, meglio di qualsiasi altra, il sentimento del sacro e l'essenza dello spirito religioso; tuttavia, non crediamo che essa per essere tale, debba porsi al di fuori di qualsiasi logica e, nella sua tensione verso il nuovo, divenire alogica come afferma Alquié.

A nostro parere, l'interpretazione surrealista del pensiero hegeliano, facendo perno sul concetto di negatività non esclude un riferimento dell'esperienza individuale e immediata al senso logico e al momento sovraindividuale, solo che tale senso e tale momento non possono più essere pensati nella forma di un centro unitario e fisso.

Ora, se la nostra interpretazione è corretta e si accetta l'idea che all'interno stesso del concetto hegeliano di Assoluto permanga sempre un elemento di perdita e di mancanza, è possibile parlare di struttura aperta anche quando ci si riferisce all'oggetto e all'esperienza surrealista.

Si potrebbe affermare che nella visione surrealista, i concetti di sistema e di sistematico appaiono mobili e fluidi e, in tal caso si potrebbe parlare di una nuova idea di totalità.

Di Hegel, ci interessa sottolineare solo quegli aspetti legati all'idea di totalità che, in relazione ai surrealisti, abbiamo definito mistico-profana con la caratteristica di auto-contraddirsi, al fine di illuminare zone inconsapevoli del nostro essere e del nostro vivere.

Vogliamo sottolineare che la parte più innovativa ed influente del pensiero hegeliano è il riconoscimento del valore della contraddizione (travaglio del negativo) come motore del movimento dialettico.

Secondo Hegel, la verità non risiede nell'immota sostanzialità delle cose, ma nel divenire soggetto; quindi la verità è da ricercare al di là dell'universale immediato, sia inteso come puro ideale, che come unione di pensiero ed essere della sostanza, cioè, come immediatezza nel senso di intuizione ed istintualità.

«La sostanza viva - scrive Hegel - è bensì l'essere il quale è in verità Soggetto»[15].

Ora, la caratteristica fondamentale del soggetto hegeliano è quella di essere sostanza in movimento, "mediazione del divenir-altro-da-sé". Ritroviamo qui espresso il concetto di negatività semplice, primo momento della scissione e della opposizione che a sua volta dovrà essere negata come duplicità indifferente:

Come soggetto essa è la pura negatività semplice, ed è, proprio per ciò, la scissione del semplice in due parti, o la duplicazione opponente; questa, a sua volta, è la negazione di questa diversità indifferente e della sua opposizione; soltanto questa ricostituentesi eguaglianza o la riflessione entro l'esser-altro in se stesso, - non unità originaria come tale, né un'unità immediata come tale - è il vero. Il vero è il divenire di se stesso, il circolo che presuppone e ha all'inizio la propria fine come proprio fine, e che solo mediante l'attuazione e la propria fine è effettuale[16].

La vera infinità - per Hegel - si ha quando l'essere determinato realizza una relazione con se stesso che lo porta ad essere altro da sé: divenire altro in una relazione dinamica con se stesso, per sé. È qui importante sottolineare che il concetto di negazione non porta verso il nulla, ma assume un valore positivo, poiché per l'essere finito, il negarsi è soprattutto aprirsi a un momento di trasformazione, è processo di rinascita e movimento verso la consapevolezza di sé.

L'opposizione dialettica tra l'essere in sé e l'essere per sé chiarisce anche il concetto hegeliano di idealismo: poiché il finito non può mai essere pensato come una entità fissata nel suo isolamento, ma è in continuo movimento per divenire altro da sé, il finito non è solo Realtà, ma è anche Idealità; esso non ha una verità in se stesso, ma acquista tale verità, come ideale, all'interno dell'infinito. Così Hegel, afferma l'unità di pensiero e di realtà che si raggiunge quando si riconosce l'«idealità» del finito e il carattere affermativo dell'infinito.

L'essere per sé che si è qualificato e determinato come Uno si distingue dall'uno e si pone come uno nel molteplice. L'uno si mostra così come ciò che è assolutamente incompatibile con se stesso, affermandosi precisamente come il molteplice.

L'ambiguità stessa che caratterizza il sistema filosofico di Hegel, come emerge chiaramente nella storia della filosofia contemporanea, ha determinato diverse e opposte interpretazioni della dialettica. Ciò è particolarmente evidente anche nella storia delle teorie politiche che ad essa si richiamano.

Paradossalmente, si potrebbe affermare che la risoluzione dell'ambiguità inerente alla dialettica hegeliana risieda proprio nelle sue potenziali interpretazioni. A tale proposito la specificità dell'interpretazione surrealista sta proprio nel fatto che i surrealisti, conformando il pensiero di Hegel alle loro stesse attitudini, lo integrano senza rifiutare ciò che in esso è ambiguo, vale a dire, quello di essere, nel medesimo tempo, un pensiero sistematico e chiuso e una "esigenza di verità" che si presenta come modo di essere-in-relazione e si riconosce come apertura-sul-mondo.

Nell'ottica hegeliano-surrealista l'oggetto acquista un senso di storicità che non gli deriva dal suo essere mutevole nel tempo in senso diacronico; i diversi significati che l'oggetto rinvia all'atto interpretativo (ermeneutico) non sono esclusivamente il risultato o la proiezione di una trasformazione necessaria, che avvenga in esso mediante la funzione del tempo. La storicità, se fosse così interpretata, sarebbe inscritta all'interno di una ottica che fonda l'oggetto sull'essere naturale (materiale), o su quello culturale (ideale) ma, in entrambi i casi, ci troveremmo di fronte ad una riduzione dell'oggetto a Ideologia, poiché esso sarebbe sempre l'espressione di una entità a sé stante e definita. Viceversa l'essere storico dell'oggetto surrealista, grazie alla valenza positiva del negativo, supera la polarità tra Natura e Cultura, perde il suo statuto di autonomicità, poiché si fonda sulla relazione tra soggetto e oggetto.

L'oggetto è storico, in quanto è il prodotto di una relazione, è un atto interpretativo e alienazione[17]. Solo nella relazione tra soggetto e oggetto, l'oggetto esce dalla sua fissità spazio-temporale e diviene oggetto mancante, mutevole e storico in senso sincronico. Infatti, esso non è mai identico a se stesso e non si può mai dire che sia una piena identità (anche quando sia considerato nel medesimo istante del tempo e dello spazio).

La forza del pensiero hegeliano sta quindi nell'avere mostrato la fragilità della «certezza sensibile» e di avervi contrapposto la concretezza dell'idea, che colma quel vuoto che sempre si accompagna al senso di oggettività.

Dunque l'ambiguità hegeliana, sulla quale i surrealisti fondano una nuova idea di oggettività, non è cancellata, ma risolta in una pratica comunicativa, nella quale la verità è insieme l'essere-di-qualcosa e l'essere-di-qualcos'altro[18].

È al linguaggio poetico che i surrealisti assegnano l'esercizio della verità, segno di una realtà superiore mai pienamente descrivibile, mai pienamente presente e trasparente.

Ora, non senza un certo senso di contraddizione e ambiguità, il mito della trasparenza, il mito di un orizzonte originario privo di contaddittorietà, non manca nella cultura surrealista[19], tuttavia la trasparenza dell'oggetto è per i surrealisti un orizzonte che deriva all'oggetto dal suo essere inscritto in una totalità.

Nello sforzo di interpretare il pensiero hegeliano come intreccio tra totalità e marginalità, tra presenza e assenza, Adorno e Derrida, in quanto filosofi appartenenti ad una generazione che ha vissuto e attraversato direttamente la cultura surrealista, e che ne è stata influenzata, possono essere citati come esempi di interpretazione non tradizionale della dialettica hegeliana, che si avvicina e conferma la posizione surrealista così già fortemente espressa a partire dagli anni '30.

Naturalmente non è soltanto questo aspetto (biografico) ciò che ci permette di accostare, sia pure impropriamente, Adorno, Derrida e il surrealismo. Infatti, grazie alle loro rispettive interpretazioni riconosciamo in esse un intento comune e teorico non slegato dalla vita reale e concreta. Anzi, sono proprio i termini concretezza e oggettività che esse mettono in questione a partire dalla critica hegeliana della "certezza sensibile", a partire dalla relazione soggetto-oggetto, così come appare in Hegel.

Potremmo definire questo intento comune, assoluto divieto di cadere nel mito dell'Essere, oppure, rifiuto della tentazione ontologica.

La Dialettica diviene così, agli occhi dei surrealisti, non solo uno strumento che rende dinamico un sistema filosofico, un sistema di pensiero, ma soprattutto uno strumento del pensiero, che impedisce la formazione di qualsiasi idea di assoluto in senso ontologico, vale a dire, impedisce qualsiasi idea di Totalità che non abbia in se stessa inscritta la parola Alterità.

T.W. Adorno e la categoria della Totalità in Hegel.

A quale "esigenza di verità" obbliga la dialettica hegeliana?

Questa è la domanda fondamentale che Adorno si pone e che rinvia a chi si accosta al suo saggio su Hegel[20]. Diciamo subito, per anticipare la risposta di Adorno, che per Hegel la dialettica stessa si identifica con la verità[21]. Per questo motivo, da un lato, nessuna verità parziale può essere detta tale e, dall'altro, nessun principio unificante può abbracciare l'Intero. Infatti, per Adorno, il motivo di fondo della filosofia hegeliana risiede nel «suo non lasciarsi estrarre da nessuna "massima" da nessun principio generale» e nel suo «legittimarsi come totalità, nel contesto della connessione concreta di tutti i suoi momenti».[22] Ne consegue che il momento della parzialità e della marginalità non sono posti in rapporto gerarchico all'interno di un sistema in cui la parte è in relazione al tutto. Adorno confronta la dialettica hegeliana con la Gelstalttheorie di Köhler e mostra quanto la filosofia di Hegel, se interpretata in un certo modo, sia portatrice di un pensiero eversivo e nuovo.

Hegel - scrive Adorno - ha saputo riconoscere la preminenza del Tutto rispetto le sue parti finite, insufficienti, e nel loro confrontarsi con il Tutto totalmente contraddittorie. Egli però non ha derivato dal principio astratto della Totalità una metafisica, né ha glorificato l'Intero come tale in nome della «forma buona». [.] Il suo intero é eminentemente solo l'intimo concetto dei suoi momenti parziali, sempre accennanti oltre di sé e portantisi fuori come separati; ma non è al di là di essi. A questo mira la sua categoria della Totalità[23].

Non c'è niente di armonico nell'idea di totalità qui presentata, tranne il fatto che in essa la rottura e il discontinuo vengano posti da Hegel sullo stesso piano della continuità; per cui l'esperienza e il cambiamento non sono parte esclusiva di essa ma, sottostanno alle leggi del discontinuo e dello sconnesso. In questo senso e a partire da questa interpretazione della dialettica è lecito pensare al processo storico (al prodursi degli eventi), alla funzione del tempo e dello spazio, alla struttura stessa dell'esperienza, non più nei termini di un legame progressivo; anche la cosiddetta civiltà non può più essere pensata come una sedimentazione progressiva proiettata verso il futuro. Inoltre, il carattere di "modernità" del pensiero hegeliano è messo in luce, nel confronto con la teoria della Gestalt, nel rapporto tra soggetto e oggetto. Non bisogna confondere il Soggetto hegeliano, inteso come "espansione illimitata dello Spirito Assoluto", con il soggettivismo che cancella nel suo essere l'esistenza stessa dell'oggetto. Infatti, se la Gelstalttheorie, critica la teoria della conoscenza che interpreta il fenomeno come datità (l'oggetto), «come un già determinato e strutturato; ecco che proprio Hegel ha messo in tutta evidenza appunto questa determinatezza dell'oggetto, senza per altro idolatrare la certezza sensibile (la fenomenologia dello spirito inizia con la critica di questa), o magari una intuizione intellettuale»[24]. Secondo Adorno, Hegel aveva già criticato in modo esplicito la teoria della conoscenza di derivazione kantiana, senza però cadere nella trappola dell'Ontologia esistenziale: «stando con Hegel si potrebbe dire [.] che appunto la costruzione del Soggetto assoluto si traduce in lui in un riconoscimento di un'Oggettività non risolvibile nella Soggettività»[25].

Qual'è la caratteristica fondamentale della nuova idea di oggettività che emerge nel superamento hegeliano delle polarità kantiane?[26]

La risposta di Adorno è che la mediazione hegeliana, non significa mai un compromesso tra gli estremi, poiché essa è già operante al livello degli estremi stessi intesi come tali; mentre nella filosofia tradizionale gli stati ontologici possono essere pensati come "un deposito di idee discretamente contrapposte", con Hegel veniamo liberati, dall'idea di un "Principio ultimo, al quale tutto dovrebbe di necessità lasciarsi riportare".[27] È lecito, allora parlare della dialettica hegeliana come rapporto costante e radicale con l'Alterità che scardina qualsiasi idea di "esperienza originaria", poiché essa - scrive Adorno - non mira «come l'interpretazione di Hegel negli Holzwege di Heidegger, alla dimensione dell'Ontologico, alla "Parola dell'Essere", all' "Essere dell'Ente"»[28].

Derrida e lo hegelismo «senza riserve»*.

Non solo Derrida interpreta Hegel attraverso Bataille, ma egli smonta l'impianto hegeliano per fare emergere ciò che in esso è rimasto implicito e inconsapevole anche all'autore della Fenomenologia dello spirito. Mediante un doppio movimento che, nello stesso tempo, accoglie il pensiero di Hegel e lo rifiuta, la critica di Derrida si rivolge al cuore della dialettica e al suo essere ambiguo; essa interpreta Hegel contro Hegel, ponendolo radicalmente di fronte alla sua stessa scoperta. Il negativo - scrive Derrida - non può essere l'altra faccia del positivo, non può essere risolto nella presenza, nella quale l'ontologia fa convergere la ragion d'essere della condizione del senso, della storia, del discorso e della filosofia. Riprendendo da Battaille la formula "operazione sovrana", egli allude alla figura hegeliana "del servo e del signore", la quale mette in scena proprio il movimento dialettico in cui la negatività (rappresentata dal Signore) si risolve nel suo opposto complementare (rappresentata dal servo), vale a dire, nel momento della sintesi, del positivo e della presenza. Non possiamo qui approfondire il discorso che Derrida porta su questa mirabile figura, ci basta solo sottolineare che egli critica il movimento di ritorno della negatività sul positivo, confutando proprio il nucleo centrale e più ambiguo di tutta la dialettica: la nozione di Aufhebung.

Secondo Derrida, Hegel non avrebbe visto «per troppa precipitazione proprio ciò che aveva disvelato sotto la specie della negatività. Per precipitazione nei confronti della serietà del senso e della sicurezza del sapere»[29]; per questo motivo, come spesso accade nelle grandi scoperte scientifiche, il vero senso della dialettica rimane implicito, nascosto e tutto da svelare. Derrida non vuol dire che Hegel non sia giunto al punto cruciale della dialettica, ma semplicemente vuol dire che non è riuscito a spingersi fino al limite del non-senso (punto di non riserva), poiché non ha voluto considerare fino in fondo ciò che egli stesso aveva posto come negatività: il punto in questione è, e non può essere che quello

in cui la distruzione, la soppressione, la morte, il sacrificio, costituiscono un dispendio così irreversibile, una negatività tanto radicale - qui è il caso di dire, senza riserva - che non è più possibile neppure determinarle come negatività in un processo o in un sistema. Nel discorso (unità del processo e del sistema), la negatività è sempre il rovescio e la complice della positività. Non si può parlare, non si è mai parlato di una negatività se non in questa trama del senso[30].

Eppure Hegel aveva posto al fondamento di tutta la dialettica il punto di non riserva, che si esprime nella figura del Signore: l'oggettività emergente nel carattere della signoria risiede proprio nel guardare in faccia alla morte e non avere paura di essa. Non avere paura della morte è l'atto che permette di conquistare la vita e la libertà. La morte qui rappresenta e simbolizza l'essere della negatività, portata alle sue estreme conseguenze, al massimo della sua lacerazione.

Derrida chiarisce molto bene il fatto che nella logica del senso e nelle "metafisiche positive e pre-kantiane della presenza piena", il negativo gioca un ruolo secondario rispetto alla positività poiché, a differenza di quest'ultima, è letteralmente assunto come l'altra faccia del positivo ed è un derivato che non ha diritto di esistenza propria. L'Ontologia e la Teleologia costruiscono sistemi del mondo in cui la dualità è solo apparente, poiché il termine op-positivo è sempre ridotto o ricondotto a quello pro-positivo. La soluzione di Derrida è quella di andare oltre la dualità, oltre il due ma non fermarsi al tre; oppure pensare la dialettica nei termini della differenza, della différance:

Da questo punto di vista, - scrive M. Iofrida - Derrida prende di mira soprattutto il concetto di Aufhebung e la sua radicale ambiguità: il togliere conservando configura un processo in cui le perdite vengono riassorbite, in cui ciò che è negato è insieme salvato e mantenuto, in cui il vuoto alla fine scompare e prevale la logica della pienezza.

Al contrario, un rapporto fra identità e alterità che rispetti il secondo termine deve andare oltre le opposizioni fra positivo e negativo, presenza e assenza, essere e non essere, concependo la reciproca implicanza di ciascuno dei due termini e configurando il primo termine come fin dall'inizio abitato dall'altro, come essente in se stesso l'altro. In questo senso il concetto di différance implica, in relazione alla dialettica hegeliana, che di nessun termine del rapporto in cui esso consiste si possa dire propriamente e semplicemente che è[31].

Per concludere questa sezione dedicata alla dialettica, ci domandiamo dove si colloca, tra queste due interpretazioni, il surrealismo. Potremmo dire: né da una parte né dall'altra; nel senso che, mentre Derridà interpreta il concetto di negatività in modo che non si possa più parlare di mediazione ma di implicazione tra i due termini, il discorso di Adorno, a mio parere, sembra più sfumato. Ora, come già abbiamo messo in evidenza, i surrealisti oscillano da un atteggiamento nichilista (surrealismo di prima maniera) ad uno dialettico (fase marxista), per giungere in fine ad un atteggiamento mistico-magico (Arcane17). Non bisogna tuttavia pensare questi diversi momenti come se fossero nettamente separati fra loro. In ciò consiste la difficoltà di collocare il surrealismo all'interno di schemi definiti. Infatti, in esso ritroviamo, sia la volontà di recuperare uno stato originario (mitico)[32], sia il tentativo di porsi al di là della dicotomia Natura / Cultura; tentativo che implica il rifiuto di pensare la Realtà e la Storia in senso naturalistico e psicologistico e che richiama del resto la posizione che in quegli stessi anni, in Francia, era della fenomenologia esistenziale di Merleau-Ponty[33].


[1] B. Russel, Misticismo e logica, Newton Compton Italiana, Roma 1970, p. 23: «C'è, anzitutto, la credenza nell'intuizione in opposizione alla conoscenza discorsiva e analitica : la credenza in un mondo di saggezza, improvvisa, penetrante, coercitiva, che è in contrasto con lo studio lento e fallibile dell'apparenza esterna, attraverso una scienza fondata interamente sui sensi. Quanti sono capaci di assorbirsi in una passione interna devono avere provato, in certi momenti, la strana sensazione di irrealtà degli oggetti comuni, la perdita di contatto delle cose quotidiane, in cui la solidità del mondo esterno è perduta e l'anima nella sua completa solitudine, sembra estrarre dal suo profondo la danza folle degli strani fantasmi che sono finora apparsi come reali e vivi in modo indipendente».

[2] Ivi, pp. 23-24.

[3] Vedi sopra, capitolo secondo p. 51, nota 2.

[4] B. Russel, Misticismo e logica, op. cit., p. 25.

[5] Con questa formula, Russel, intende dire che il momento dell'immediatezza e dell'intuizione è certamente l'asse portante di un certo modo mistico di rapportarsi col mondo ma, se non si vuole ricadere nella pura astrattezza e contemplazione del misticismo completamente sviluppato, esso deve anche poter essere (limitato) ricompreso nel momento logico. In altri termini, ciò che caratterizza il misticismo sufficientemente limitato è il suo aspetto dialettico che lega "il regno più puramente logico" alla  vita reale, alla parte istintuale. Infatti, Russel scrive: «[.] l'opposizione tra istinto e ragione è in gran parte illusoria. Istinto, intuizione o penetrazione conducono inizialmente ai credi che poi la ragione conferma o confuta; ma la conferma, ove sia possibile, consiste, in ultima analisi, nell'accordo con altri credi non meno istintivi. La ragione è una forza armonizzatrice e di controllo più che creativa. Anche nel regno più puramente logico, è l'istinto che arriva per primo al nuovo». (B. Russel, Misticismo e logica, op. cit., p. 25.)

[6] A. Breton, Manifesti del surrealismo, op. cit., p. 75.

[7] I. Margoni, Per conoscere Andrè Breton e il Surrealismo, op. cit., p. 10 : «È noto che in alcuni dei suioi motivi maggiori (inconscio, onirismo, fantastico, alienazione mentale, infanzia, rivolta, ecc.) il surrealismo costituisce in pieno Novecento un coerente ritorno al romanticismo e più esattamente al cosidetto irrazionalismo romantico, alla linea che in Germania va da Novalis a Achim von Arnim a Höelderlin, e da Nodier a Nerval a Rimbaud a Lautréamont, in Francia».

[8] M.Carrouges, Andrè Breton et les données fondamentales du surréalisme, op. cit., p. 87. La citaz. nel testo di M Carrouges è da, A. Breton, Manifeste du surréalisme in, Ouvres complétes, vol. I, op. cit., p.340.

[9] Situazione surrealista dell'oggetto in, A. Breton, Manifesti del surrealismo, op. cit., p. 189.

[10] A. Breton, Entretiens, op. cit., pp. 105 - 106. Vedi sopra la nota 14.

[11] F. Alquié, Filosofia del surrealismo, op. cit., p. 37.

[12] Ibid.

[13] Ivi, p. 39.

[14] Ivi, pp. 40 - 41.

[15] G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, tr. it. di E. De Negri, La Nuova Italia Editrice, Firenze1973, vol. I, p.14.

[16] Ibid.

[17] La categoria della alienazione è qui assunta come irriducibile, perché è alla base della struttura stessa del rapporto comunicativo.

[18] Come la nozione di Segno si costituisce nella polarità di significato e significante, così questi due aspetti della verità, possono essere assunti, nel loro intreccio, il primo come forma concreta della verità (l'essere di qualcosa), il secondo come forma ideale, utopica che mantiene sempre (costitutivamente) aperto un orizzonte sull'alterità (l'essere di qualcos'altro).

[19] G. Durozoi et B. Lecherbonnier, Le Surréalisme: théories, thèmes, techniques, Librairie Larousse, Paris, 1972, p. 154 : «C'est en conclusion des Prolègomènes à un troisième manifeste, que Breton définit le myte nouveau, celui des «Grands trasparents», dont la projection dans notre ciel intèrieur devrait aboutir à une révision complète de notre weltanschauung». Cfr. Prolegomeni a un Terzo Manifesto del Surrealismo in, A. Breton, Manifesti del surrealismo, op. cit., p. 225.

[20] W. T. Adorno, Tre studi su Hegel, op. cit., p.10 : «Se non si vuole uscire di strada fin dalla prima parola, ci si deve tenere, pur con tutta l'insufficienza sempre possibile, all'altezza dell'esigenza di verità della sua filosofia, invece di criticarla dall'alto della propria sufficienza, e per ciò stesso rimanendone al di sotto».

[21] Ivi, p. 21 : «Poiché la filosofia di Hegel ha questo per contenuto: che la verità, in Hegel il sistema, non si lascia esprimere come una tale suprema funzione fondamentale, come un originario Principio, ma sia la totalità dinamica di tutte le proposizioni che si producono partitamene in forza della loro contraddizione. Ma questo è il contrario esatto del tentativo fichtiano di derivare il mondo dalla pura Identità, dall'assoluto Soggetto, dalla «posizione» una e originaria».

[22] Ivi, p. 10.

[23] Ivi p. 12

[24] T. W. Adorno, op. cit., p. 13.

[25] Ivi, p. 15.

[26] Ivi, p. 17 : «I poli che Kant contrappone l'uno all'altro, forma e contenuto, natura e spirito, teoria e pratica, libertà e necessità, cosa in sé e fenomeno, vengono tutti quanti compenetrati dalla Riflessione, di modo che nessuna di queste determinazioni sussiste come un Ultimo».

[27] Ivi, p. 18.

[28] Ivi, p. 71.

*Questa interpretazione del pensiero hegeliano è sviluppata da Derrida nel saggio Dall'economia ristretta all'economia generale, ed ha la caratteristica di essere un confronto critico con le riflessioni che Bataille ha svolto sulla Fenomenologia dello spirito. Dal nostro punto di vista è interessante sottolineare il fatto che il riferimento a Bataille, in un qualche modo è legato alla cultura surrealista e ciò ci permette di capire meglio il rapporto tra surrealismo ed hegelismo.

[29] J. Derrida, La scrittura e la differenza, tr. it., Einaudi,Torino, 1990, p. 335.

[30] Ibid.

[31] M. Iofrida, Forma e Materia : saggio sullo storicismo antimetafisico di Jacques Derrida, op. cit., pp. 72-73.

[32] L'identificazione bretoniana della surrealtà ad uno stato "originario", l'esigenza surrealista di recuperare una unità/totalità nella quale si inscrive anche l'essere individuale, non è però completamente assimilabile all'ontologia esistenziale di tipo heideggeriano o nietzschiano.

[33] Come è noto, anche quest'ultimo si richiama a Hegel in alcuni punti essenziali della sua riflessione.

 

Logo Parol
© 1985/2003 Parol - quaderni d'arte e di epistemologia
Per qualsiasi utilizzo delle risorse presenti sul sito contattare la redazione
Site designed and managed by Daniele Dore