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Moderno-Antimoderno: l’arte dei preraffaelliti nella cultura vittoriana

Luigi P. Finizio, Napoli , Liguori Editore 2004, pp. 425., €. 25,00

Recensione di Enrico Maria Davoli

Non sono molti gli studi monografici pubblicati in Italia sul movimento preraffaellita, la confraternita di pittori fondata a Londra nel 1848 da William Holman Hunt, John Everett Millais e Dante Gabriele Rossetti, poi allargatasi ad altri nomi tra cui Edward Burne-Jones e William Morris e criticamente sostenuta da John Ruskin. Eppure il rapporto tra i membri della Pre-Raphaelite Brotherhood e l’Italia fu molto stretto. Tutti la amarono, molti di loro vi soggiornarono, e la stessa denominazione del gruppo non sarebbe pensabile senza il termine di riferimento costituito da uno dei più grandi artisti del nostro Rinascimento, Raffaello Sanzio. Addirittura uno dei padri fondatori del movimento, Rossetti, era figlio di un patriota abruzzese emigrato a Londra nel 1824. E il suo primo nome, Dante, fotografa una predilezione letteraria, quella per l’autore della Divina Commedia, che è alla base non solo della sensibilità preraffaellita, ma di un’intera stagione dell’Ottocento europeo.

Il libro di Luigi Paolo Finizio Moderno antimoderno. L’arte dei preraffaelliti nella cultura vittoriana (Liguori, Napoli, 2004), giunge quindi opportuno per fare il punto su una situazione espressiva che tocca da vicino la nostra cultura artistico-letteraria, e nei cui confronti questa ha a sua volta contratto più di un debito. Sappiamo bene, infatti, quanto le correnti simboliste e decadenti nostrane debbano a certe istanze nordeuropee, di matrice romantica e postromantica, che avevano fatto dell’Italia, col suo retaggio storico, mitico e letterario, una seconda patria. Si pensi al gruppo tedesco dei Nazareni e, appunto, ai Preraffaelliti: tutti artisti ai quali i vari Nino Costa, Domenico Morelli, Francesco Paolo Michetti, Giulio Aristide Sartorio, Giovanni Segantini, Adolfo De Carolis, Leonardo Bistolfi (per non parlare del Decadente per antonomasia, il poeta Gabriele D’Annunzio) guardavano con ammirazione e deferenza.

Tuttavia, proprio a partire di qui Finizio compie una precisa scelta di campo. Infatti, egli prende nettamente le distanze da una lettura del fenomeno preraffaellita in certo modo illanguidita, vagamente kitsch, che sin dalle origini i nostri artisti e intellettuali hanno sempre teso a privilegiare. Una lettura in chiave spiritualista e misticheggiante che, se pure conserva una sua ragion d’essere, tuttavia non tiene conto della concretezza e dell’empirismo tipicamente anglosassoni che sin dall’inizio guidarono le ricerche del gruppo.

Nei quattro densi capitoli del suo libro, l’autore analizza la vicenda preraffaellita rinunciando completamente ad un punto di vista italocentrico, per calarsi con grande naturalezza e profonda cognizione di causa all’interno della società inglese del secondo Ottocento. Con piglio metodologico che potrebbe ricordare alcuni celebri studiosi d’oltremanica, da Antal a Klingender ad Haskell, egli immerge gli artisti e le loro opere nel crogiolo ribollente della rivoluzione industriale ormai giunta all’apice della sua parabola. D’altronde, l’opzione storico-sociologica di Finizio trova solide giustificazioni non appena si riflette sul fatto che l’anno di fondazione della Confraternita Preraffaellita, il 1848, coincide con la più vasta fiammata di sommovimenti politico-sociali che abbiano attraversato l’Europa ottocentesca, e con un fatto di enorme portata simbolica e pratica come la pubblicazione del Manifesto del Partico Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels.

Sull’onda di uno sviluppo economico senza precedenti, in pochi decenni la Gran Bretagna si avvia a diventare l’incontrastata superpotenza planetaria, forte di un impero coloniale esteso su ogni continente. Tutto ciò fa saltare antichi equilibri e pone la figura dell’artista in una posizione inedita. Da un lato lo obbliga infatti a misurarsi, senza infingimenti di sorta, con le questioni di ordine estetico, comunicativo e produttivo poste dalla civiltà industriale; dall’altro lo spinge a ritrarsi in un isolamento sempre più colto ed anticonformista, per sfuggire alla massificazione ogni giorno più opprimente dei gusti, dei comportamenti, delle opinioni. Come Finizio fa emergere con grande dovizia di informazioni riguardanti sia la genesi delle opere pittoriche e del pensiero teorico, sia le reazioni della critica e del pubblico, sia i tormentati rapporti personali intercorsi tra gli stessi Preraffaelliti, questi artisti seppero abilmente giostrare tra l’uno e l’altro dei due atteggiamenti, delle due diverse vie alla sapienza: quella “moderna” e quella “antimoderna”, per dirla col titolo del libro. Come dire che Hunt, Millais, Rossetti e compagni furono maestri nel premere alternativamente sul pedale del progresso e su quello della conservazione, nell’indulgere al culto nostalgico del passato e nello scommettere spregiudicatamente sul futuro.

In che modo? Contemperando il culto per un patrimonio di saperi artigianali da riscoprire e valorizzare, con una sicura fede nel progresso tecnologico. Tuffandosi nell’abbraccio panteistico della natura e, al contempo, instaurando un approccio scientifico e laico ai problemi tecnici della rappresentazione. Suonando vigorosamente realistici nel singolo dettaglio pittorico e, invece, potentemente simbolici nei rimandi e negli echi intertestuali. Recuperando all’arte la sacralità e il prestigio che l’avevano connotata in passato e tuttavia mescolando disinvoltamente, con l’atteggiamento proprio del dandy, l’arte stessa alla vita di ogni giorno. Conciliando l’esperienza dell’arte pura, ostentatamente priva di finalità pratiche, con l’esperienza dell’arte applicata, dalle specifiche connotazioni strumentali. Facendo convivere i valori alti, tradizionali, della pittura, con quelli bassi, brutalmente contemporanei, della fotografia. Conformandosi al moralismo vittoriano e, al tempo stesso, cavalcandone le contraddizioni e oltrepassandone i confini. Riconoscendo nel linguaggio strutturale dell’architettura gotica medievale non solo un prestigioso retaggio del passato, ma anche un codice genetico in cui inscrivere l’utilizzo di materiali modernissimi quali il cemento armato, il ferro e il vetro. In altre parole, continuamente giocando ad essere apocalittici ed integrati, utopisti e pragmatici, perseguendo l’ “altrove” ma anche dedicando grande attenzione al “qui e adesso”.

I primi scritti, articoli e mostre di Finizio sul Preraffaellitismo risalgono a quasi trent’anni fa, e  questo libro suona davvero come la summa di una mole di studi che è proseguita ininterrottamente fino ad oggi. Vi sono tutte le premesse perché esso diventi un punto di riferimento obbligato in materia.

 

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