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L'ESPOSIZIONE IN TEMPO REALE NELLA POETICA DI FRANCO VACCARI

di Antonella Alberghini

LA POETICA DI FRANCO VACCARI

L'artista Franco Vaccari è un intellettuale. Come tale si aggiorna costantemente, informandosi su ciò che accade nel mondo e dedica alla lettura tempo e attenzione. Possiede un concetto di cultura a 360°: non si occupa solo di arte contemporanea, ma è attento alla realtà nelle sue diverse sfaccettature e si rapporta ai fatti della vita con uno spirito fortemente critico nei confronti della società. La sua poetica coincide con la sua intera weltanschauung, comprende le sue esperienze, i suoi valori, le sue relazioni con ciò che lo circonda e quindi non è statica e definibile una volta per tutte, ma si sviluppa in concomitanza con la sua personalità.

Vaccari ha una spiccata curiosità nei confronti di tutto ciò che lo circonda e affronta le questioni con un singolare interesse, come se venisse assorbito da ogni particolare. La sua mentalità è aperta e positiva. Quando parla delle sue opere, non le fa sentire agite da lui, ma le rende protagoniste del discorso; non enfatizza il proprio ruolo di autore, ma si limita ad innescare le situazioni, controllandone a distanza l'evoluzione. Dai suoi ragionamenti emerge spesso un'intelaiatura, uno schema logico sotteso ai processi mentali. Si tratta del suo sapere scientifico che è lo strumento principe di cui si avvale per pensare.

Il connubio tra arte e scienza è la peculiarità più affascinante di questo artista, che negli approcci col mondo propone letture inusitate, che non sorgono spontanee alle altre menti. La sua produzione artistica è inscindibile dalla sua riflessione teorica ed entrambe hanno diverse sfaccettature. Nella poetica dell'autore non è possibile stabilire una gerarchia d'importanza tra i concetti. Piuttosto emerge una struttura, come un insieme di punti connessi tra loro, alcuni più marcati e altri meno rilevanti, ma comunque tutti appartenenti ad un unico sistema generale. La sua concezione artistica viene qui esposta prendendo in considerazione gli aspetti più significativi della sua poetica e approfondendo alcune questioni particolarmente interessanti.

Franco Vaccari è nato nel 1936, ha compiuto studi regolari ad indirizzo scientifico e si è laureato in fisica. Già dagli ultimi anni di liceo si è interessato di fotografia e ha coltivato questa passione nel corso di tutta la vita. Conseguita la laurea, il molto tempo libero che aveva a disposizione durante il servizio di leva svolto a Roma, gli ha consentito di dar corso al secondo lato della sua natura: quello dedito all'arte piuttosto che alla scienza. Il suo primo interesse in campo artistico è stata la poesia visiva. Pur senza aver contatti con qualcuno di essi era approdato alle stesse problematiche che si trovavano ad affrontare i poeti visivi, soprattutto il gruppo 70 di Firenze. Dopo la presa di contatto con questi poeti è nata quell'attività che lo ha portato a sviluppare approfonditamente il territorio dell'arte. Ad un certo punto ha ibridato la fotografia e la parola con i graffiti, dove le scritte sui muri assumono valenze e significati derivanti dal contesto in cui sono state fatte. Attraverso la fotografia queste parole si caricano di echi che certamente non avrebbero se si trovassero semplicemente su una pagina tipografica.

In tutta l'arte del '900 c'è stata la tendenza a sbarazzarsi delle forme artistiche canoniche per esplorare territori nuovi, confluiti nella cosiddetta 'avanguardia di massa'. L'appellativo può sembrare una contraddizione in termini, perché l'idea della folla mal si sposa col concetto d'innovazione, di solito promosso da un gruppo ristretto d'artisti. Esso ha comunque un senso, perché il movimento innovatore ha investito diversi ambiti artistici ed è stato promosso da numerosi autori, tra i quali anche Franco Vaccari. In questo movimento artistico assume una forte rilevanza il rapporto tra l'autore e gli utenti. Vengono potenziati gli aspetti relazionali delle opere e si tenta di far partecipare il pubblico con un elevato grado di coinvolgimento. L'intervento dello spettatore raggiunge talvolta un'intensità tale che diventa legittimo considerarlo protagonista dell'opera.

Nel 1965 è stato pubblicato Pop esie, il primo libro di Franco Vaccari. Il titolo rievoca il fenomeno artistico della Pop Art, che aveva ottenuto un enorme successo, alla Biennale di Venezia nel 1964. Nella seconda metà degli anni '60 l'artista ha lasciato la pagina, per esplorare forme più innovative.

Nel 1966 ha pubblicato il libro sui graffiti Poesia anonima. Poesia trovata. In quegli anni i graffiti non erano ancora stati accolti nel mondo dell'espressione e venivano interpretati prevalentemente in chiave surrealista, piuttosto che considerarti il frutto di un linguaggio poetico autonomo; solo in seguito sono diventati una forma espressiva di massa. Nel modo in cui Vaccari si era interessato ai graffiti si poteva intravedere la presenza di una sensibilità confluita poi in una delle correnti artistiche predilette dall'autore: la cosiddetta 'arte  povera'. Qui la fisicità dei materiali è particolarmente accentuata e si fa uso di oggetti solitamente adibiti ad altre attività, proponendo una loro risemantizzazione e producendo un senso aggiuntivo che investe l'intera opera.

Nel 1967 Vaccari ha cominciato ad uscire dalla pagina del libro per affrontare gli ambienti. Ha dedicato la propria attenzione alle installazioni, in cui l'ambiente espositivo veniva investito nella sua totalità da un'urgenza espressiva. Ad esempio, nel 1968 aveva riempito lo spazio di un edificio con un gran numero di palloncini. Il fatto curioso di quest'esperienza è che trent'anni dopo, nel 1998, la sua idea è stata riproposta tale e quale da un altro artista in una mostra, in cui lo spazio è stato occupato esattamente nello stesso modo.

All'autore è successo più volte di scoprire che le sue opere avevano subito un plagio e giustifica questo fatto dicendo che probabilmente la sua preparazione di tipo scientifico gli ha messo a disposizione degli strumenti conoscitivi diversi da quelli interiorizzati da coloro che hanno seguito l'iter classico delle discipline artistiche. Questi strumenti gli hanno dato la possibilità di sondare la realtà in modo particolarmente adatto all'epoca contemporanea e facendone uso ha vissuto certe esperienze precocemente rispetto al resto degli artisti. Egli pensa che sia fisiologico per gli altri approdare in ritardo a forme artistiche come le sue e si sente privilegiato per questo vantaggio.

Sa di avere due doti notevoli: possiede infatti strumenti conoscitivi che condivide con pochi altri ed è dotato di una spiccata sensibilità artistica. Il connubio tra questi due elementi è estremamente raro e l'artista è consapevole di esserne una delle poche incarnazioni. Non si accanisce contro il plagio, perché ritiene che ognuno abbia a disposizione una certa quantità d'energia che non può essere diretta contemporaneamente in tutte le direzioni. Ha dovuto scegliere se spendere tale energia per difendere le proprie opere o se impiegarla per produrre arte e ha deciso di trascurare, per carenza di tempo, i plagi, i debiti o le interpretazioni discutibili e di dedicarsi invece all'attività artistica, che considera certamente più stimolante. Ciò nonostante gli preme molto che gli venga riconosciuta la paternità dei suoi concetti. Nel gennaio 1969 ha introdotto il concetto di 'esposizione in tempo reale', che allora nessuno utilizzava.

Presentando il libro sui graffiti aveva cominciato ad accorgersi dell'importanza delle parole. Esse servono a nominare oggetti e azioni, ma se si fa uso di termini inadeguati, la lettura del lavoro viene dirottata verso significati fuorvianti. Dai modi di operare dell'autore scaturisce l'idea di un senso privilegiato e anteposto agli altri. Egli non esclude che i fruitori delle sue opere possano formulare interpretazioni diverse dalle sue, ma predilige certi significati e tende ad indirizzare il lettore verso di essi. Spesso fornisce elementi che guidino lo spettatore a cogliere certi aspetti dell'opera. Ritiene che il momento della fruizione sia importantissimo e desidera che nell'opera vengano sottolineati certi tratti. In questa prospettiva usa parole precise, scelte con cura.

Le esposizioni in tempo reale si differenziano da altre esperienze artistiche che in quegli anni riscuotevano successo, come gli 'happening', le 'azioni' o le 'installazioni'[i][1]. Soprattutto quelle più aperte, gli happening e le azioni, erano caratterizzate da una struttura in movimento: i fatti si dispiegavano nel tempo e la loro successione aveva un andamento lineare. Invece le opere di Franco Vaccari non erano così. Egli ha individuato nel 'feed-back', o 'contro reazione', l'elemento capace di innescare un meccanismo tale per cui la struttura si sviluppa attraverso un continuo riesame di quello che è appena accaduto, con un riaggiustamento continuo nel processo di produzione, influenzato incessantemente dagli esiti del processo stesso. L'autore ha cominciato ad utilizzare il concetto di feed-back a partire dal 1970, quando in campo artistico non c'era nessuno che avesse sentito la necessità di prestarvi attenzione ed utilizzarlo come strumento concettuale. Ovviamente dicendo che nessuno usava questo concetto si intende dire che l'uso non avveniva coscientemente, perché in realtà vengono compiute continuamente numerose operazioni di cui non si ha consapevolezza ed esse cominciano ad esistere pienamente solo quando entrano nel panorama della coscienza di chi le studia come fenomeni. All'artista è stata attribuita la paternità dei concetti di 'tempo reale' e 'contro reazione' solo recentemente, perché fino a poco tempo fa i critici non avevano, per formazione, gli strumenti adeguati a valutare l'importanza di queste concezioni, quindi non le mettevano in rilievo.

Nel corso della realizzazione delle esposizioni in tempo reale ci sono stati periodi di addensamento e di rarefazione. Il momento più adatto per realizzare questo tipo d'arte è stato negli anni '70, mentre negli anni '80 Franco Vaccari ha rivolto la propria attenzione ad altre forme artistiche. In questo secondo decennio infatti si è avvertito un ritorno a un'arte più tradizionale, come la pittura o la scultura, e le esposizioni in tempo reale sono state abbandonate. L'autore ha sentito l'esigenza di farle riaffiorare negli anni '90, quando ha avvertito una forte sintonia con le operazioni artistiche dei giovani. Infatti, mentre negli anni '70 era isolato, godendo dei vantaggi e degli svantaggi della situazione, negli anni '90 c'è stata una corrente massiccia di nuovi artisti che, coscienti o meno, hanno proposto opere d'arte simili a quelle promosse in precedenza dall'autore. Questi artisti non hanno usato l'espressione 'esposizione in tempo reale', preferendo parlare di 'arte interattiva', ma in concreto si tratta dello stesso genere di operazioni. Esse implicano la partecipazione attiva del pubblico e spesso l'autore si riserva soltanto il compito di innescare un processo che, una volta iniziato, procede autonomamente. Questo tipo d'arte può essere definita 'processuale', in quanto prevede delle istruzioni che si dispiegano nel tempo espositivo. Prima che le nuove tecnologie fossero vissute come un'esperienza diffusa, la gente non era in grado di interpretare le esposizioni in tempo reale in quest'ottica e tale aspetto processuale rimaneva latente. É stato grazie alla coscienza prodotta dai nuovi mezzi tecnologici come il computer, che gli utenti hanno imparato a rintracciare in queste opere la struttura del softwere.

Franco Vaccari possiede uno studio di dimensioni considerevoli, dove a volte lavora. Tuttavia la sua attività non è continuativa ed egli non si reca in questo luogo costantemente per realizzare un certo quantitativo di opere a scadenze regolari. Egli rimane sempre attento a ciò che lo circonda e coltiva incessantemente le proprie riflessioni. Il suo atteggiamento è di profondo e serio impegno ed egli considera l'elaborazione dell'opera altrettanto importante della sua realizzazione. É aperto a stimoli d'ogni tipo e non si preclude nessun interesse a priori. Svolge un ampio lavoro di progettazione, si sforza di approfondire i diversi aspetti delle questioni che affronta e preferisce tralasciare completamente qualcosa se l'alternativa è accontentarsi di una trattazione sommaria. Le sue riflessioni si basano su un processo di acculturazione, alimentato da sollecitazioni sempre nuove. Il compimento di un'opera è per lui il punto d'arrivo di una lunga meditazione preliminare e spesso l'opera è la concretizzazione di un'esigenza espressiva. L'autore si trova nella necessità di dover dar sfogo a qualcosa che gli si è sviluppato nella mente e che preme per uscire. In questo senso Vaccari produce arte quando si trova in uno stato in cui gli è essenziale farlo. Egli non si sforza di produrre le sue opere, ma si dedica con passione a curare la propria sensibilità; la sua poetica si sviluppa di conseguenza ed emerge autonomamente. L'autore è in grado di proseguire diversi aspetti della sua vita artistica contemporaneamente; sebbene stia lavorando per la realizzazione di un'opera, può comunque dedicarsi ad altri ambiti e rimanere aperto a nuovi stimoli.

Vaccari considera la progettazione dell'opera una tappa preliminare e fondamentale. Tale concezione trova piena conferma dall'interesse che manifesta per il contesto dell'opera. All'inizio di quest'anno gli è stato proposto di fare una mostra in una sinagoga sconsacrata della Slovacchia. Ha scelto di attingere materiale dalla cultura yiddish, ma non ha ancora elaborato un progetto su ciò che farà e deve documentarsi: per sviluppare l'argomento ha bisogno di sapere. Ha visto le foto del luogo e le reputa molto interessanti, ma non gli bastano e deve recarsi là personalmente, per sentirlo fisicamente. La sua ricerca procede per cerchi concentrici, attraverso la lettura di libri e fotografie, l'ascolto di musica, la rievocazione di ricordi, l'analisi di documenti e così via. Ricorda che a diciassette anni è andato in Romania ad un festival della gioventù, dove veniva suonato un ballo che si chiamava Perinita; nel tentativo di recuperare quella melodia ne trova altre che gli piacciono molto. Non gli piace il jazz (fatto strano per un artista) e la musica di consumo non suscita particolarmente il suo interesse; però lo appassiona la musica etnica, che si lega alle tradizioni e gli permette di sviluppare un rapporto conoscitivo con la cultura che sta esaminando. La musica non sarà parte dell'opera, ma serve all'autore come evocazione di mondi passati e culture esistite un tempo, che ora rischiano di venire dimenticate. Attraverso molteplici strumenti arriva ad elaborare un'idea complessiva, convinto che la conoscenza sia un presupposto indispensabile per il compimento dell'opera. Si lascia sedurre dalle idee, dall'immaginazione e dalla consapevolezza che il mondo straordinario degli Yiddish non esiste più. L'autore è stato nei paesi dell'est prima della caduta del muro di Berlino: due volte in Russia per turismo, tre volte in Polonia invitato per motivi artistici e una volta in Romania. Dopo la caduta del muro è andato nella Repubblica Ceca. Ritiene che siano posti strani e che i paesaggi sembrino quelli delle favole, con le case basse, il mondo contadino, i boschi. Sebbene le vicende storiche li abbiano impoveriti, essi esercitano comunque un certo fascino.

Si possono ricavare elementi interessanti sulla sua poetica anche dalle considerazioni che sviluppa su altre forme artistiche. Ad esempio riflette sulla trasmissione in Internet della ragazza che vive in una casa di vetro trasparente, sorvegliata ventiquattr'ore su ventiquattro dalle telecamere. Egli ritiene che questo fatto non vada visto come una forma artistica e pensa che considerarlo in questo modo sarebbe un fraintendimento, perché ci sono altre angolazioni dalle quali è possibile comprendere meglio un evento di questo genere; ad esempio nel film The Truman show era già stata anticipata la trasformazione di un fatto privato in un fatto collettivo e aveva trovato spazio l'interesse voyeuristico delle folle. L'unica ovvia constatazione che non era stata prevista dal film è che numerose persone si presterebbero gratuitamente a farsi indagare senza nessun filtro in qualsiasi aspetto della loro vita; pertanto, se il fatto fosse vero, sarebbe stato uno spreco insensato ricorrere ad un enorme apparato scenografico per nascondere l'autentica realtà a questo individuo.

All'autore viene spontaneo realizzare installazioni che gli consentano di godere di molte libertà, gli presentino delle opportunità e gli permettano di valorizzare la memoria. Fare installazioni in cui non avvenga qualcosa è sentito da parte sua come una forma di limitazione. Nella sua opera più nota, quella della Biennale di Venezia del 1972, il visitatore avrebbe dovuto cogliere la presenza del rischio che l'autore aveva voluto coscientemente correre: il fatto che qualcuno accettasse personalmente la possibilità di fallire la grande occasione della propria vita era un elemento importante dell'esposizione e aveva una rilevante carica poetica.

Franco Vaccari ha fornito una definizione del termine 'interpretazione' coincisa e significativa, sostenendo:  'l'interpretazione si fonda sul presupposto che ognuno è in grado di vedere quello che sa'. Il linguaggio è il nostro orizzonte, al di la del quale ci è preclusa non solo la conoscenza, ma anche la percezione. Esso ci permette di far emergere delle forme e senza non riusciremmo a nominare le cose e non saremmo in grado di distinguerle correttamente. Accetta la duplicità del linguaggio come strumento permissivo da un lato e vincolante dall'altro; tuttavia egli pone l'accento sulle possibilità consentite piuttosto che sulle restrizioni imposte. Gli interessa la zona d'esperienza dove il linguaggio non è ancora stato rigidamente formalizzato ed è possibile e necessario formarlo, quello spazio dove il linguaggio cerca di nominare ciò che non è ancora stato definito con termini precisi. Per questo motivo nell'esposizione in tempo reale viene messo in evidenza il meccanismo dell'esposizione stessa, cioè il modo in cui l'opera si forma. Tale meccanismo permette di nominare l'esperienza. Se l'autore avesse esposto qualcosa di statico, avrebbe sottinteso l'esistenza di parole o termini già pronti per raccontare quanto veniva visto.

Tra semantica, sintassi e pragmatica, predilige indubbiamente quest'ultima, in quanto la considera come la fase aurorale, dove si formano le strutture che definiscono il reale. Nel caso dell'opera emerge la formazione stessa del linguaggio. Ad esempio l'esposizione in tempo reale alla Biennale di Venezia non era riducibile a nessuna delle opere precedenti, ma una volta realizzato e messo in evidenza il meccanismo di formazione dell'opera stessa, essa è stata pienamente nominata e ha costituito l'elemento di base per realizzare altre opere.

Egli sostiene che nelle opere ognuno formuli una propria lettura, valorizzando aspetti che non coincidono necessariamente con gli aspetti rilevati da altri. Il presupposto di questa convinzione è che nelle opere non ci sia un significato unico. Ognuno possiede certi strumenti mentali di cui si serve per far affiorare livelli d'organizzazione.

Se per interpretazione si intende un modo di organizzare i dati sensoriali, allora l'autore accetta di definire le sue opere come interpretazioni della realtà. Solitamente l'atto interpretativo colloca un oggetto dentro ad un sistema di concetti preesistenti attraverso un processo di categorizzazione. Ad esempio le immagini dei quadri degli impressionisti sono stampate sugli involucri dei cioccolatini e ciò significa che la gente gode di questa pittura; essa non costituisce più scandalo, ma fa parte di ciò che è considerato normale dalla sensibilità delle persone. Però, al loro apparire, le opere di questi pittori non sono state accettate nelle gallerie dell'arte ufficiale, perché il loro modo di organizzare i dati e il loro rapporto con la realtà venivano considerati scandalosi e non c'erano probabilmente termini capaci di inquadrare questo modo di organizzare l'esperienza e di comunicarla agli altri. Sono rimaste opere innominabili finchè il lavoro dei critici e del tempo le ha rese un'esperienza alla portata di tutti. Così è stato anche per il cubismo, che alla sua nascita è stato visto come qualcosa di assolutamente repellente, ma poi è entrato a far parte dei linguaggi comprensibili. É il problema che si deve affrontare quando ci si trova di fronte a lingue sconosciute: solo grazie alla lettura dei geroglifici è potuta emergere la cultura, la mitologia, la storia, gli usi e i costumi degli egiziani. Senza gli strumenti mentali adatti, il tentativo di lettura sfocia in interpretazioni fuorvianti.

Nei paesi dove l'arte è stata imbrigliata, è stata anche limitata l'esperienza conoscitiva, come per esempio nella Germania nazista o nei paesi a comunismo reale. In quei casi l'arte non predisponeva apertura e libertà nei confronti del mondo, ma costituiva un'esperienza preconfezionata che chiudeva entro limiti ristretti la possibilità d'interagire con il senso della realtà. Franco Vaccari teme che in futuro anche molta nostra arte occidentale si presenterà come un'arte manipolata e gestita dall'alto piuttosto che come un'espressione di autentica spontaneità. 

Franco Vaccari non scinde la propria persona nel ruolo di artista e in quello di uomo comune. Per motivare la sua posizione si avvale di un paragone: è come se un credente tenesse diviso il suo credo religioso dall'esperienza normale e applicasse certe regole solo nel tempio, ignorandole quando è fuori. Sostiene che l'arte sia un modo di tenere allenato un certo tipo di sensibilità e di far affiorare stati sottili e rari di coscienza. La grande arte non impressiona, ma fa emergere percezioni e dal poco fa scaturire qualcosa di grandioso e mirabile. L'autore pensa che visitando i luoghi dell'arte, si dovrebbero acquisire nuovi strumenti e si dovrebbe affinare la sensibilità con la quale ci si confronta col mondo. L'uso del condizionale è motivato dal fatto che tali acquisizioni e affinamenti possono anche non verificarsi; in ogni modo le emozioni provate dallo spettatore procurano comunque qualche conseguenza nella sua vita ed egli non vive l'esperienza artistica in completa indifferenza. Non bisogna pensare a grandi e massicce esperienze, ma alle sensazioni di questi stati sottili. L'arte ha come conseguenza il miglioramento della vita, ma tale conseguenza è ottenuta in maniera preterintenzionale, non volutamente.

Citando Oscar Wilde, l'autore ricorda che l'arte non si fa con delle buone intenzioni. Però, secondo Vaccari, l'artista nei confronti dell'arte deve avere una certa moralità, nel senso che deve essere onesto nei confronti della sua attività artistica. Ciò non significa che per fare arte sia indispensabile avere pensieri e comportamenti onesti: un autore con buone intenzioni e propositi altruistici non è necessariamente migliore di un altro dal punto di vista artistico; tuttavia egli ha nei confronti dell'arte la capacità di mettere a fuoco in maniera più netta, più vera e meno adulterata certi stati di coscienza. Franco Vaccari ritiene che tra tutti gli approcci mentali, quello artistico coinvolge nel modo più complesso l'apparato psichico. É indubitabile che un grande pensatore utilizzi in modo profondo un settore del pensiero e ad esempio in matematica non occorrono soltanto capacità logiche, ma anche fantasia, coraggio, audacia e intraprendenza. Ciò nonostante per ottenere grande arte occorre un coinvolgimento ancora maggiore e un processo quanto più articolato e complesso possibile, dell'intero sistema nervoso. L'artista deve riuscire a dimenticarsi, mediante un processo molto complicato, per far vivere la sua arte. Come tutte le grandi imprese, ad esempio l'amore, anche l'arte può essere maestosa o miserabile. L'amore può configurarsi come una delle massime esperienze di vita, ma può anche realizzarsi in una forma di brutalità senza limiti; così l'arte può raggiungere vette altissime, ma può anche essere un completo fallimento. Franco Vaccari considera sperabile che l'artista abbia certi valori che lo guidino nel suo fare. Ritiene che uno dei miti più perniciosi sia quello dell'artista 'genio e sregolatezza' e tra i vari contributi che si augura di aver dato all'arte, spera ci sia quello di aver contribuito a far crollare il mito della figura dell'artista come creatore autonomo. Fondamentalmente questi miti paralizzano il funzionamento dell'intera complessità del nostro sistema nervoso. In realtà è la ricerca intellettuale a livelli molto interiorizzati che permette gradi elevati di spontaneità. D'altronde, in qualsiasi campo, non esiste esecutore che non si eserciti molte ore al giorno e anzi solitamente più un artista è capace, maggiore è il suo controllo del mezzo; certamente un artista potrà essere più dotato di un altro se a parità d'esercizio otterrà più di lui, ma in genere gli abili esecutori sono anche maniaci dell'esercitazione e mirano alla perfezione. Questo ragionamento può riassumersi nella frase: 'bisogna sapere per poi dimenticare'; se però la dimenticanza non è il presupposto della scioltezza nell'esecuzione ma il camuffamento di un'effettiva ignoranza, oggi non si ha spazio per emergere in alcun modo.

L'autore non condivide il mito del buon selvaggio, dotato di un'istintività sorgiva che automaticamente gli consente di guadagnare ampi spazi. É convinto che non sia possibile saper usare un linguaggio senza essersi addestrati a farlo. Oggi l'arte sfrutta alcuni miti derivanti dal prestigio che si è conquistata nei secoli, esattamente nello stesso modo in cui si tende a sfruttare giacimenti di ricchezze di qualsiasi tipo. Si tende a valorizzare la figura dell'artista, sottraendolo ai contesti e alle vicissitudini storiche e mettendolo in un empireo dove non è possibile indagarlo ulteriormente. Come nelle varie epoche possono emergere diverse attitudini verso la scienza ed essere inibite altre che potrebbero emergere in altri tempi, così non esiste un'unica figura dell'artista, ma varie tipologie dell'essere artista. Una delle principali modalità in cui la figura dell'autore emerge è il riconoscimento dell'opera, che avviene con la firma. Vaccari non considera questa pratica particolarmente importante; per comprendere le ragioni di questo suo atteggiamento si può ricordare un aneddoto: Nel 1967 in Germina sono state esposte delle sue opere che lui non aveva autenticato con la firma. Il suo gesto era motivato dal timore di furti e infatti parte delle opere era scomparsa. Di recente un collezionista, trovatene tre in una galleria, ha proposto all'autore di firmarle e di tenerne una per , cedendo le altre due al gallerista e a lui. Il fatto di non aver firmato le opere, come aveva previsto trentatre anni prima, ha creato le condizioni perchè alcune gli si ripresentassero. Quanto accaduto conferma che la firma non è un dispositivo fondamentale per dimostrare l'autenticità dell'opera e anzi può metterne a rischio l'incolumità. Inoltre, nelle esposizioni in tempo reale l'autore non saprebbe in quale parte dell'opera in esposizione porre la firma. La loro autenticità è dimostrata dal catalogo[ii][2], che viene realizzato a posteriori per documentare l'accaduto; esso non fa solo parte integrante dell'opera, ma è anche un elemento utile a comprovare quanto è avvenuto. Il problema della firma viene in primo piano con l'autentica della documentazione. Vaccari non è ossessionato dal riconoscimento e ritiene necessario abbandonare il mito della figura dell'autore. Attualmente l'immagine di questo personaggio assume connotati diversi dal passato: oggi l'autore è come il regista di un film, che non realizza le fotografie del film, la colonna sonora e via dicendo, ma è colui che coordina un insieme di specificità e ha coscienza della globalità del fatto; nessun regista firma le singole pellicole di proiezione e la sua originalità e paternità viene colta con meccanismi diversi da quelli delle forme tradizionali che testimoniano l'autenticità dell'opera. Questo cambiamento era già stato messo in evidenza da Duchamp coi suoi ready-made, che non hanno solo importanza estetica, ma anche filosofica. Funzionano come dei paradossi, in cui molte questioni riguardanti l'oggetto artistico vengono portate ad una conclusione estrema, e si trovano spesso in una situazione d'indecidibilità. Il ready-made mette in discussione il ruolo dell'autore, in quanto egli si riserva soltanto il compito di scegliere un oggetto che non deve portare traccia del suo lavoro e non viene modificato in alcun modo. Ad esempio Picasso ha utilizzato degli oggetti inserendoli dentro alle sue opere; tuttavia il suo atteggiamento, per quanto esteticamente estremamente interessante, innovativo e valido, è meno radicale del modo in cui Duchamp utilizza gli oggetti trovati fatti.

Vaccari ha sempre accompagnato al momento espositivo quello della riflessione teorica. Ha scritto poesie, articoli, presentazioni e altro ancora, ma tra tutti i testi di sua produzione due possono essere considerati i più importanti della sua speculazione teorica. Uno è Duchamp e l'occultamento del lavoro, scritto nel 1978, e l'altro è Fotografie e inconscio tecnologico, del 1979. Parti di entrambi sono state pubblicate in precedenza e il secondo ha avuto poi una certa fortuna editoriale, in quanto in Italia è stato riedito a quindici anni di distanza dalla prima pubblicazione e un anno dopo la sua prima edizione italiana è stato tradotto e pubblicato in Francia, entrando nel dibattito culturale anche di quel paese.

Duchamp e l'occultamento del lavoro è uno scritto sintetico e incisivo. In esso l'autore spiega come la critica abbia concentrato e rivolto la propria attenzione sulle fasi di produzione del lavoro artistico e sulle motivazioni dell'artista, trascurando invece il momento d'osservazione dell'opera. In realtà se è vero che un artista compie un lavoro sull'opera è altrettanto vero che il visitatore, nel dirigere la propria attenzione all'opera, compie anch'egli un lavoro e in qualche modo tale lavoro deve essere remunerato, affinché nello scambio di informazioni e d'attenzione valga il principio di non dissipazione dell'energia. La spesa energetica dell'artista viene compensata dalla soddisfazione di tipo narcisistico, dall'attenzione che viene rivolta al suo operato e dall'aspetto economico che assume il suo lavoro. Ma che ricompensa ha l'osservatore? In passato egli veniva appagato dalla qualità dell'opera, in cui il valore era testimoniato dalle tracce di maestria che essa manifestava nelle proprie fattezze. Il fruitore era gratificato dalla visione dell'opera, che testimoniava il lavoro compiuto per produrla. Quando però ci si trova di fronte ad un'opera moderna, come ad esempio un ready-made di Duchamp, quale ricompensa ottiene un osservatore dalla contemplazione di uno scolabottiglie o da una ruota di bicicletta appesa ad una sedia? É impensabile che egli trovi la ricompensa per il lavoro d'interpretazione che svolge, soltanto nel godere di quanto l'artista gli mette a disposizione, soprattutto oggi, in un momento di dissipazione delle forme d'attenzione in cui si è chiamati in tutte le direzioni, perché ovunque si richiede attenzione. In opere come i ready-made di Duchamp, l'equilibrio viene rotto e l'artista si limita a scegliere un oggetto già esistente; egli non compie più un lavoro di creazione che gli richieda un'abilità tecnica di cui l'opera sia la manifestazione e il fruitore non incontra le forme tradizionali di gratificazione.

Franco Vaccari si è sentito molto responsabilizzato nei confronti di chi visita le sue mostre ed essendo consapevole di questa mancanza di appagamento, ha voluto introdurre forme di gratificazione per il fruitore, che consistono nel coinvolgimento e nella partecipazione alla creazione dell'opera stessa. Il ruolo dello spettatore è reso più attivo ed egli sperimenta personalmente il valore dell'opera, che consiste proprio nella creatività.

A prescindere dalla sua soluzione personale, Vaccari affronta la questione dei ready-made sviluppando un'acuta riflessione sull'operazione di Duchamp. Rispetto alle opere d'arte tradizionali, quelle dell'artista francese nascondono l'attività lavorativa compiuta dall'autore e in tal modo non mostrano tracce del suo intervento, ma si limitano a manifestare se stesse e le proprie caratteristiche materiali. Sebbene siano privi di connotati artistici, questi oggetti vengono indagati come le opere tradizionali e assorbono l'intera attenzione del fruitore. Questi si sofferma sui particolari cercandovi l'intervento dell'autore, ma, non trovandolo, esaurisce il suo sguardo sull'opera. Così essa, senza meriti apparenti, catalizza l'interesse del pubblico esibendo solamente se stessa; di conseguenza la valutazione non si basa su elementi oggettivamente presenti nell'opera e i giudizi sono espressi arbitrariamente: essi non individuano l'artisticità, ma la  stabiliscono. La precarietà di questo gesto deriva dal vuoto di valore dell'opera. Essa ha un valore se è stato svolto un lavoro per crearla e tale lavoro costituisce la garanzia del suo valore. Senza lavoro nulla garantisce la validità dell'opera ed essa pretende di avere un'identità che fatica ad essere riconosciuta: l'identità artistica. Tuttavia la mancanza di lavoro può non essere letale per l'opera, perché può intervenire un altro meccanismo: l'opera può essere comprata e con l'acquisto le viene riconosciuto un valore. Lo scambio tra l'opera e il denaro sottintende un'equivalenza, se si pone che lo scambio sia equo. Il denaro è il segno del lavoro e il suo valore ha come fondamento un sacrificio compiuto. Allora di cosa è segno l'opera? Se essa viene scambiata col denaro sarà segno di un valore equivalente a quello del denaro, che in tal modo funge da garante dell'opera.

Come è notoriamente risaputo, lo scibile umano è infinito e la possibilità d'ampliare la conoscenza non ha limiti. Una conseguenza di questa constatazione è che non è possibile conoscere l'arte nella sua totalità e anche chi dedica l'intera esistenza al suo studio, non può che approdare ad una conoscenza parziale. Nella fruizione dell'opera d'arte si mettono in atto vari meccanismi di lettura, l'opera si presta a diverse interpretazioni e l'approccio è multilivellare. In particolare, maggiore è la conoscenza e più perspicace, dettagliata e precisa è la visione. Il grado più o meno approfondito di conoscenza si misura proprio attraverso i livelli e più ampia è la conoscenza, più alto è il livello interpretativo. La conoscenza necessaria ad interpretare un'opera ad un alto livello comprende nozioni sull'opera stessa, sulla poetica che l'ha prodotta, sulla sua storia, sul genere artistico a cui appartiene, sull'arte in generale e nozioni su quanti più argomenti possibili. Che la conoscenza sia indispensabile per valutare un'opera d'arte è un presupposto che riposa anche nel senso comune. Pensiamo ad esempio al film Mr Bean, in cui, ad un certo punto, il protagonista si trova a dover fare un discorso su un'opera d'arte. L'ansia che lui prova e la comicità della situazione scaturiscono proprio dal presupposto che un'interpretazione d'alto livello si basi su una conoscenza approfondita, che il personaggio del film non ha.

Vaccari ha nutrito uno spiccato interesse per la psicanalisi, che negli anni '70 era molto diffusa. Ha letto Freud, Jung, Lacan e altri interpreti di queste forme di pensiero e ritiene che senza questi approfondimenti non sarebbe stato in grado di scrivere Fotografia e inconscio tecnologico. Per parlare del concetto di 'inconscio tecnologico' non ha usato l'angolazione culturale di Freud o Jung, ma piuttosto quella dello strutturalista francese Levi-Strauss. L'autore ha poi applicato le tecniche psicanalitiche ai suoi casi personali affrontando una forma di autoanalisi e pensa che nel suo panorama mentale risiedano vari tipi di inconsci. Il suo interesse si è accentuato tanto da spingerlo ad affrontare problemi artistici in prospettiva psicanalitica. Probabilmente le sue nozioni non tecnicamente approfondite della psicanalisi sono state compensate dall'elevata conoscenza delle problematiche artistiche. La sua attrattiva per la dimensione onirica è affiorata prevalentemente nel periodo in cui è calata l'attenzione per l'esposizione in tempo reale. Sebbene l'autore abbia realizzato anche esposizioni in tempo reale legate al tema del sogno, l'esperienza onirica vera e propria è diventata protagonista della sua arte in altri tipi di opere, quando ha disegnato le immagini che lo andavano a trovare in sogno. Egli dice di non aver prodotto le immagini oniriche, ma di averle semplicemente ospitate durante il sonno. In tal modo egli si è trovato nelle condizioni di dover dar sfogo a queste figure-ospiti, che avevano scelto lui come mezzo attraverso il quale aver accesso alla realtà. Ha dipinto quadri di enormi dimensioni (circa due metri e venti per lato) per dare allo spettatore l'impressione di entrare nel sogno. Il suo intento era quello di costruire un rapporto con le immagini dei sogni che non fosse di tipo surreale, ma che permettesse di vedere il sogno come una manifestazione della fisicità umana.

Egli usa l'espressione 'dream idea - ready made' (in cui le prime due parole sono un anagramma delle seconde due) e la traduce come 'idea trovata fatta in sogno'. Questa operazione può essere meglio compresa con un esempio: in uno dei suoi incontri onirici l'autore si è imbattuto nel poeta russo Maiakovskj e lo ha reso il protagonista di un suo libro, realizzato come quei testi per bambini in cui emergono oggetti tridimensionali nello sfogliare le pagine; nel libro il personaggio ha assunto spessore e dinamismo e la fisicità è stata resa con l'uso di diversi materiali. L'autore ha scritto diari di sogni riempiendo parecchi album da utilizzare privatamente (anche se pensa che alcune di quelle pagine potrebbero essere esposte al pubblico). La scelta di mantenere nel privato questo aspetto della sua vita era motivato dal fatto che quel periodo era caratterizzato da una sovrapproduzione d'immagini gratuite. Con questa definizione si intende far riferimento ad espressioni che non nascevano da necessità particolarmente forti, ma erano soltanto una risposta all'accentuata richiesta nel mercato di immagini che si avvicinassero a figure presentate in forme tradizionali, come ad esempio nella pittura.

Franco Vaccari descrive la situazione contemporanea del mondo delle immagini con la metafora della 'discarica dei rifiuti'. Spiega che le immagini si trovano nel mondo come i rifiuti in una discarica, dove un'enorme diversità a livello settoriale costituisce un'ampia genericità a livello globale. L'autore era contrario ad aggiungere immagini alla già sterminata produzione del momento, ma ha considerato che quelle che gli si imponevano in sogno, avessero una qualche forma di necessità, perché non erano ottenute attraverso uno sforzo di volontà cosciente. Si trattava invece dell'emergere di qualcosa che aveva bisogno di essere osservato e preso in considerazione.

Fotografia e inconscio tecnologico è il frutto di una riflessione molto intensa. Prima della stesura, l'autore si è ampiamente documentato studiando numerosi saggi di altrettanti numerosi scrittori appartenenti a diverse discipline: Levi-Strauss, de Saussure, Kracauer, Baudrillard, Benjamin, Bourdieur, Lacan, Mac Luhan, Chomsky e altri ancora. Il testo risulta sorprendente anche letto a distanza di un ventennio dalla sua prima uscita e i quattro saggi aggiunti nella riedizione non hanno modificato il senso complessivo dello scritto. Le considerazioni dell'artista sulla realtà scaturiscono da una visione del mondo che deriva dalla sua capacità d'osservazione, costruita con un meticoloso e approfondito studio teorico e filtrata attraverso una sensibilità straordinaria. É un testo da cui si possono apprendere informazioni interessanti, scaturite da un punto di vista diverso dal comune. In questo suo libro Franco Vaccari spiega uno dei concetti fondamentali della sua poetica. Occorre precisare che l'autore, nell'arco della sua vita, in svariate circostanze ha nominato la realtà facendo uso di approcci mentali che non erano ancora stati messi a fuoco dagli altri pensatori; in tal modo ha spesso anticipato concetti nuovi, che sono riaffiorati in seguito nel pensiero di altri autori. Citiamo un esempio. Francesca Muzzarelli, in un testo di recente pubblicazione, ha scritto un capitolo intitolato L'immaginario automatico in cui espone il concetto di 'nonluogo'[iii][3] di Marc Augè, mostrando come esso fosse già stato introdotto in precedenza da Franco Vaccari, che aveva parlato di 'luoghi dell'identità sospesa'. Se qualche volta emerge un riconoscimento di questo tipo e si rende giustizia alla riflessione teorica dell'autore, molte altre volte ciò non accade e le anticipazioni rintracciabili nel suo pensiero vengono trascurate. Parlando dunque dei concetti fondamentali della sua poetica, si sottintende che ci sono altri concetti altrettanto importanti ma meno fortunati perchè non hanno raggiunto la notorietà. I concetti su cui si insiste maggiormente sono quelli più famosi perché sono stati riconosciuti dalla critica.

L'inconscio tecnologico viene presentato dall'autore sotto il duplice aspetto teorico e pratico: lo si trova nei contenuti concettuali delle sue opere e nelle esposizioni in tempo reale. Se ne parla in Fotografia ed inconscio tecnologico, dove è indissolubilmente legato alla fotografia. In realtà esso è proprio di ogni strumento meccanico e non solo della fotografia; tuttavia l'autore individua in questa un ottimo esempio per mostrare come il concetto viva nella realtà; la fotografia è infatti una tecnologia le cui caratteristiche permettono di comprendere l'importanza dell'inconscio tecnologico, perché la peculiarità del mezzo fotografico ha fatto sì che l'autore riuscisse a modificare la sua visione. É comunemente accreditata la convinzione che un individuo sia in grado di vedere ciò che sa, in quanto la lettura della realtà è necessariamente selettiva: essa privilegia solo certi aspetti scartando tutto il resto. Il privilegio che un individuo accorda alla porzione di realtà osservata è quella che i suoi schemi mentali reputano degna d'interesse ed egli si sofferma solo su ciò che il suo senso del perché delle cose gli fa ritenere significativo. In tal modo la conoscenza condiziona la visione e tra tutto ciò che c'è alla portata dello sguardo, solo qualcosa viene individuato. Con l'uso che fa della fotografia, Franco Vaccari riesce a modificare questo postulato sostenendo che talvolta è possibile vedere anche ciò che non si sa. L'immagine fotografica rende infatti visibili certi particolari che vengono solitamente trascurati e impone al sistema percettivo una scelta obbligata. Fermando la realtà di un istante in un'immagine, si lascia all'occhio il tempo di percorrere lo spazio visibile, di assemblare molteplici particolari disseminati o di focalizzarne uno che nel trascorrere del tempo sarebbe stato trascurato. In tal modo l'occhio non è costretto ad accontentarsi di una visione d'insieme globale e complessiva, ma spesso anche approssimativa e grossolana; può sondare tranquillamente territori altrimenti inesplorabili e quindi può arrivare a vedere ciò che non sapeva. Questa è la sbalorditiva potenzialità insita nella fotografia e addebitabile all'inconscio tecnologico: la macchina fotografica è uno strumento creato e utilizzato dall'uomo, che mantiene comunque sempre un certo grado di autonomia. Essa si fa strumentalizzare per immortalare la realtà, ma nel farlo conserva un margine d'indipendenza e chi realizza lo scatto non riesce a padroneggiarla completamente perchè qualcosa inevitabilmente gli sfugge. Il prodotto dell'attività fotografica può dunque essere stupefacente e la fotografia non limitarsi a riprodurre la realtà nella modalità voluta dal fotografo. Essa può creare un'altra realtà e stupirlo, mostrandogli qualcosa che lui non aveva previsto: può uscire dalla sua immaginazione e oltrepassare le sue aspettative. Questo risultato incalcolabile è reso possibile proprio dall'inconscio tecnologico, che agisce invisibile e silenzioso e che si manifesta in questo aspetto della fotografia. L'apporto conoscitivo fornito fa sì che si porti a consapevolezza qualcosa, se ne prenda coscienza, si cominci ad affrontare un fenomeno con mezzi appropriati a gestirlo e quindi ci si doti di ulteriori strumenti d'indagine. Se comunemente si vede ciò che si sa, con la fotografia si può arrivare a vedere ciò che non si sa e conseguentemente a sapere ciò che si vede e quindi a sapere ciò che non si sapeva. La fotografia diventa in tal modo una modalità d'apprendimento e consente un ampliamento conoscitivo. Essa non serve solo a riprodurre la realtà come la vediamo, ma può riuscire a farci conoscere aspetti inediti del mondo. Ogni presa di coscienza implica l'esistenza preliminare e latente di ciò che affiora e diventa effettiva se viene riconosciuta dalla cultura. Tutti i fenomeni sociali e psicologici vanno ricondotti a questo generatore di forme e significati, che costituisce il denominatore comune dei diversi aspetti della realtà e stabilisce tra essi una sorta di parentela: gli elementi di una stessa cultura, in qualche modo si somigliano. L'autore individua questa uniformità di fondo nell'agire della macchina. Se dallo scatto fotografico emerge l'inconscio individuale del soggetto, da esso si evince anche l'inconscio tecnologico dello strumento. Esso agisce indipendentemente dal soggetto e organizza l'immagine con strutture preformate e presenti nella simbologia della cultura. Un tempo un'opera d'arte era avvalorata dalla sua unicità, mentre con la fotografia il valore è dato dall'irripetibilità dell'istante e il particolare che affiora dall'immagine è analogo ad ogni altro che avrebbe potuto emergere al suo posto. L'operazione artistica di Franco Vaccari si innesta in una situazione che per lui è chiara: quella di una realtà sovrappopolata d'immagini, dove l'informazione non riesce a scorrere perché rimane intasata nel traffico della circolazione, dove abbondano i più disparati tipi di figure, tutte desiderose d'imporsi come protagoniste. Perché allora aggiungere altre immagini alle tante, troppe, già presenti? La scelta dell'autore si basa su motivazioni valide. Le immagini che lui propone non sono infatti equivalenti alle altre, ma per così dire si immettono nel flusso circolatorio contro mano. In tal modo le fotografie non servono a documentare  l'incessante e frenetico trascorrere del tempo, ma tentano di bloccare questo processo aprendo delle parentesi riflessive e fermando l'attenzione sul particolare, che oggi è solitamente destinato a rimanere soffocato dagli elementi preponderanti.

Quasi a ribadire il detto che 'quel che conta non è la quantità ma la qualità', con le sue operazioni fotografiche Franco Vaccari esplora una dimensione sconosciuta del mezzo: non mira alla riproduzione in serie di un frammento di realtà, ma entra nell'immagine e l'affronta con un atteggiamento inconsueto. L'autore ha il problema di fermare la memoria. Probabilmente l'idea della dispersione dell'esperienza gli da un senso d'insoddisfazione, per non dire d'angoscia. Ricorda che Mnhmosunh era la dea greca adibita al fare arte e che senza possibilità di memoria l'arte è impossibile. Il momento della riflessione, in cui si prende distanza da ciò che è successo per valutarlo, gli sembra fondamentale e irrinunciabile. Ha curato testi di materiale non suo, che rappresentano una sorta di scavo nella memoria della collettività. Ad esempio ha preso le foto di Modena scattate da Orlandini prima della sua nascita e ha fatto rivivere la città in un modo che non era la ripetizione della realtà vissuta, ma la proposta di un'altra realtà. Ha compiuto un'operazione analoga anche con le foto di Soliera (Mo) e Castelvetro (Mo). La fotografia è una protesi della memoria come il video lo è del nostro apparato mentale. Vaccari è entrato nelle foto e ha messo in primo piano componenti dell'immagine che stavano sullo sfondo, oppure ha ambientato avvenimenti su scenari diversi da quelli che avevano ospitato realmente l'accaduto. Questi procedimenti scardinano il rapporto spazio-tempo. Le modificazioni intervengono infatti nello spazio, che non è più riconoscibile come spazio reale, ma diventa uno spazio nuovo; esso deriva da luoghi che sono realmente esistiti in un certo momento, ma che sono stati rivisitati. Gli scenari creati possono essere verosimili, se è ragionevole che la scena riprodotta si sia realmente verificata. Tuttavia è possibile che essi non si siano mai verificati, ma siano invece il frutto dell'intervento manipolatorio dell'autore, che ha riassemblato elementi reali per rappresentare una realtà fittizia, immaginabile ma non vera. Lo stesso dicasi per il tempo. Nell'ottica dell'autore la manipolazione del tempo è una cosa che non si afferra istintivamente, ma va organizzata. Isolando particolari da diverse immagini e mettendoli insieme in una nuova scena, si uniscono momenti diversi e quindi la realtà del tempo si disperde. L'evento rappresentato non è avvenuto in un momento ma è costituto da elementi che appartengono a istanti diversi. Addentrandosi nella riflessione, si comprende come sia difficile definire l'evento in relazione al tempo: si potrebbe dire che esso avvenga fuori dal tempo, ma il tempo trascorre e non si può uscire dal suo procedere; non è nemmeno corretto dire che esso avvenga senza tempo, perché si negherebbe l'esistenza di questa entità. Ecco come un'operazione apparentemente semplice comporta implicazioni complesse e riflessioni sulle relazioni tutt'altro che banali.

 Franco Vaccari sembra voler dire che quello che ci circonda non è ovvio e di facile lettura e che lo strumento fotografico non si presta solamente a riprodurre pedissequamente il mondo. Il suo approccio sorpassa l'uso consueto della fotografia, che viene di solito vissuta come un espediente per tranquillizzare l'animo umano tentando di placare il trascorrere inesorabile del tempo e il susseguirsi continuo degli eventi. La fotografia è generalmente sentita come uno strumento per controllare la realtà sfuggente, anche se la sua efficacia è dubbia.

L'autore ribadisce spesso che una costante dei linguaggi in cui si articola la comunicazione è l'eccesso. L'aumento smisurato della produzione d'immagini crea informazioni oltremisura, provocando una sorta d'inquinamento visivo. Il sovraffollamento d'immagini non consente di dedicare loro tutta l'attenzione richiesta e di fissarle nella memoria, con una conseguente perdita di senso. Troppe informazioni nello stesso tempo rendono caotico il processo comunicativo e ne compromettono il funzionamento. Posto ciò, la scelta dell'autore di associare diversi tipi di linguaggi sembra contribuire ad aumentare il caos, ma non è così: nelle sue operazioni, l'unione della parola e dell'immagine non provoca una ridondanza, bensì una selezione reciproca.

Queste sue operazioni rientrano nella corrente della Narrative Art, in cui si abbina prosa e fotografia e il testo si riferisce all'immagine, mettendo in luce aspetti che non potevano emergere dalla semplice lettura della foto. In questi casi i linguaggi funzionano come tracce per l'orientamento, nel senso che ciascuno serve come guida che impedisce di intraprendere percorsi semantici fuorvianti. Ciascun linguaggio non intende determinare il senso dell'altro, ma escludere i significati scorretti.

La poetica di Franco Vaccari prevede un forte radicamento nella realtà. Le sue opere agiscono sul mondo e mettono in atto comportamenti reali. In esse il rapporto con lo spazio e il tempo diventa più intenso e la realtà non è semplicemente osservata, ma viene creata.

         LE  ESPOSIZIONI  IN  TEMPO  REALE

Franco Vaccari ha iniziato a produrre opere utilizzando il concetto di 'esposizione in tempo reale' a partire dal gennaio 1969; a tutt'oggi ne ha realizzate ventisette e il ciclo non può essere considerato concluso, perché l'artista non esclude la possibilità di crearne altre in futuro. 

Tutte le opere seguono una stessa linea conduttrice e hanno come essenza di fondo uno schema, una progettazione, una previsione di sviluppo sperabile ma non certa. Sono caratterizzate cioè dalla presenza di un forte rischio: possono essere forniti solo i presupposti per la riuscita dell'opera, ma niente garantisce che essa si sviluppi effettivamente come preventivato. La struttura di fondo che accomuna le esposizioni in tempo reale permette di considerarle un fenomeno unitario.

Il concetto di 'tempo reale' era molto innovativo all'epoca in cui Franco Vaccari ha cominciato ad usarlo e non veniva compreso pienamente dai contemporanei. In seguito quest'espressione ha avuto un grande successo ed è diventata addirittura il titolo di una trasmissione televisiva. Si dice che qualcosa si svolge in tempo reale se durante la sua realizzazione è possibile intervenire sul processo cambiando lo sviluppo dell'azione prima che essa sia conclusa e quindi divenga immutabile; quest'intervento viene detto 'feed-back' o 'retroazione'. Quello di 'feed-back' è un concetto altrettanto innovativo e incompreso. Esso definisce il processo attraverso il quale un effetto si ripercuote sul dispositivo: dall'esito si ricavano degli elementi (ad esempio delle informazioni) che vengono trasmessi alla fonte ed elaborati in modo tale da influenzare lo sviluppo successivo o, nel caso dell'esposizione in tempo reale, l'ulteriore svolgimento dell'opera. L'effetto di 'feed-back' introduce un grado di libertà nuovo rispetto a quelli presenti negli happening o nell'arte processuale.

Posta una questione, non se ne da la soluzione, la sola ed unica valida, ma c'è un ventaglio di possibilità per fronteggiarla. La libertà che caratterizza l'atmosfera in cui queste opere si svolgono consiste nel non poter prevedere l'esito, che si realizza nel corso dell'esposizione e può considerarsi concluso solo alla fine del periodo stabilito.

L'esposizione in tempo reale è dotata di vita propria. Dopo aver fornito i criteri di sviluppo, l'artista si fa da parte e l'esposizione si compie autonomamente, con l'intervento degli spettatori-partecipanti, che diventano parte integrante dell'opera. In pochi altri generi artistici c'è una fusione di questo tipo e sicuramente in nessun altro essa raggiunge un livello così intenso da far sì che lo spettatore diventi, in una certa misura, materia di cui è costituita l'opera d'arte.

Nell'esposizione in tempo reale è presente una dimensione di scambio fra l'autore e l'osservatore. Questi, in passato, si comportava come un soggetto passivo, che entrava nei luoghi dell'arte per contemplare. Nell'esposizione in tempo reale invece diventa un soggetto che in qualche modo deve agire, in quanto deve scegliere se rimanere passivo o farsi coinvolgere.

Anche la modificazione dell'opera nel corso della sua esposizione è un aspetto singolare. In genere durante il periodo della mostra le opere rimangono esposte e i visitatori si limitano ad osservarle, in modo tale che il primo e l'ultimo visitatore si trovano di fronte alla stessa entità. Nel caso delle esposizioni in tempo reale, invece, l'opera muta, si trasforma, si sviluppa; la sua esposizione consiste nel suo farsi e attraversando la mostra in tempi diversi non si è di fronte alla stessa opera, ma a suoi diversi stadi di realizzazione. Il processo di mutamento si ferma quando finisce il tempo dell'esposizione. A partire da quel momento l'opera rimane uguale a se stessa e se ne conserva la documentazione in un catalogo, in cui viene raccolto il materiale che si è accumulato nel corso della mostra. Esso costituisce un patrimonio per la memoria.

Da quando ha cominciato a realizzare le esposizioni in tempo reale, Vaccari le ha numerate. All'inizio era considerato strano il fatto che un autore cambiasse ogni volta l'argomento in un ciclo di opere e il suo è stato visto come un gesto estremamente arbitrario. Solo da poco tempo gli artisti hanno abbandonato il concetto di coerenza formale e si permettono più libertà. Una delle funzioni del concetto di 'esposizione in tempo reale' è quello di tenere in qualche modo legate esperienze che altrimenti sarebbero viste come momenti completamente autonomi e non relazionati tra loro. Ogni volta è stato dato un titolo specifico, ma nel complesso tutte le opere presentano delle costanti: prima vi è il periodo espositivo e contemporaneamente il momento di documentazione, poi la raccolta della documentazione con relativa spiegazione, cioè un breve testo che illustra la situazione in cui è stato raccolto il materiale. Questo secondo momento è costituito dal catalogo ed è distinto dall'opera vera e propria.

L'opera si svolge in momenti successivi e spesso in luoghi diversi, così viene rotta l'unità di tempo e di luogo. Un pregio di queste opere è che ogni loro momento può essere fruito in modo autonomo: quando qualcuno visita l'esposizione, partecipa direttamente all'opera che si mostra nel suo farsi. Ogni momento è unico ed irripetibile e costituisce uno stadio dell'opera. É parte di essa, ma una parte che non è costitutiva. É una tappa della realizzazione dell'opera e come tale è funzionale alla sua creazione, ma conserva pur sempre una propria autonomia. Non è detto che per partecipare pienamente occorra sapere che poi ci sarà una pubblicazione o un video successivo per documentare il fatto. Il catalogo diventa una parte autonoma, ma complessivamente esposizione e catalogo possono essere visti come un'opera unica.

L'esposizione in tempo reale è una di quelle manifestazioni in cui si mira ad un coinvolgimento della persona con lo scopo di compensare la deprivazione sensoriale causata dai media. Queste opere si concentrano sul tempo effettivamente vissuto e hanno punti di contatto con altre manifestazioni come la Body-Art, dove si incentra l'attenzione sul corpo, o la Land-Art, che si focalizza sullo spazio fisicamente occupato. Nella concezione di tempo reale è inclusa la relazione tra soggetto e oggetto e la possibilità d'intervento del primo sul secondo. Tale concezione presuppone una sincronia: il soggetto, per poter intervenire sull'oggetto, deve avere piena consapevolezza dell'azione nel corso del suo svolgimento. In questa situazione scaturisce una sorta di sfida: la realtà non si presta sempre ad essere compresa dagli strumenti conoscitivi di cui è in possesso il soggetto. Egli costruisce i propri metodi d'apprendimento in base alle esperienze che vive e rimane un margine d'imprevisto nella varietà dei fatti con cui può avere a che fare. Questa differenza emerge anche tra l'atto e il termine che lo descrive: il linguaggio non è la realtà e nel nominarla esprime inevitabilmente una qualche forma di giudizio su di essa. Nell'esposizione in tempo reale si tenta di annullare lo scarto tra l'evento e la consapevolezza che il soggetto ne ha e tra l'oggetto e il termine che lo nomina. In fatti che si svolgono in tempo reale ci sono molteplici accadimenti istantanei ed irripetibili, dal cui accumulo si crea l'evento complessivamente inteso, che si basa su continue modificazioni; all'inizio esso sembra privo di un'identità e di un senso preciso, mentre lo sguardo dell'osservatore è vago e la sua percezione dell'evento è sfumata; a mano a mano che si svolge, la consapevolezza di quanto accade si fa più netta.

Per cogliere le esposizioni in tempo reale a un livello profondo bisogna capire il ruolo che in molte di esse riveste un elemento importante: la fotografia. Franco Vaccari non usa la fotografia come uno strumento per contemplare, ma come un modo per agire e per vedere ciò che non sa. Nelle sue opere esiste una realtà e si verificano dei mutamenti nel trascorrere del tempo. Gli accadimenti che hanno luogo nel corso dell'opera sono innescati da un'idea iniziale, intervengono essi stessi su tale idea e infine ne costituiscono la testimonianza. In tal modo le opere di Vaccari si differenziano dalle forme artistiche comunemente intese, dove l'opera è costruita dall'autore e rimane identica a se stessa nei momenti della fruizione.

L'operazione artistica delle esposizioni in tempo reale tratta l'argomento del tempo, in modo serio ed impegnato. Quella del tempo è la questione più problematica che la mente umana debba affrontare. Il tempo implica il cambiamento e mette in luce i limiti dell'uomo, cioè il fatto che egli è inevitabilmente destinato a morire. Il mutamento comporta una sostituzione continua di elementi e la trasformazione è vissuta dall'individuo come sofferenza, perché essa comporta necessariamente una perdita. Ogni persona ha un proprio tempo interiore, che costituisce il suo vissuto personale e questo è il fondamento della sua esistenza. Col trascorrere del tempo l'uomo perde la propria identità originaria e scivola inesorabilmente verso l'oblio. L'arte di Vaccari affronta la memoria come una questione fondamentale e universale. Nelle sue opere prevede la partecipazione del pubblico, tentando di suscitarne l'interesse. Tale termine è d'importanza enorme. L'interesse infatti, nel suo significato antico, è lo stare in mezzo, cioè l'essere coinvolti. Partecipando alla realizzazione dell'opera, il pubblico compie delle azioni con le quali riempie di senso il trascorrere del tempo. La soluzione al problema del tempo è raggiunto col distacco dalle contingenze e con lo sviluppo del senso del vissuto. L'azione della memoria si inscrive proprio nel tentativo di impedire al tempo di trascinare via la propria identità e di cancellare le proprie tracce. Il concetto di 'tempo' compare innanzitutto nel titolo delle opere per designare la modalità in cui avviene l'esposizione, vale a dire in tempo reale. L'opera si realizza attraverso la messa in atto di comportamenti da parte del pubblico, le cui azioni sono fatti reali. I gesti artistici (come i fatti d'ogni tipo) accadono. Il tratto significativo nell'accadimento di un fatto è che esso si verifica e non è reversibile né ripetibile in forma identica. Esso non ritorna e lo si può esperire solo nella durata della sua realizzazione: ecco l'istante, l'attimo. Il fatto può rivivere in momenti posteriori al suo accadere, se è stato fermato in qualche forma mnemonica che possa essere recuperata. Se si pensa al tempo come una retta, che per definizione è infinita, i diversi istanti possono essere considerati i punti che si susseguono su di essa. In questa metafora la memoria è uno zoom, che permette di dirigere l'attenzione sull'insieme o sulla parte. Le esposizioni in tempo reale si realizzano in un arco di tempo di lunghezza prestabilita, ma a livello concettuale sono equivalenti all'istante. Il catalogo invece costituisce la memoria. Emerge inevitabilmente una contraddizione nel concetto di 'esposizione in tempo reale', quando si vuole concepire il catalogo come una parte dell'opera anzichè come un elemento posteriore e distinto da essa. Le posizioni sono sostanzialmente due. C'è chi considera più ragionevole pensare che il catalogo non faccia parte dell'opera, ma serva a far comprendere il lavoro dopo che la parte performativa si è esaurita. C'è chi invece lo considera come parte integrante e costitutiva dell'opera e propone di risolvere la questione considerando il catalogo come un prolungamento dell'opera: in tal modo esso ne risulta lo sviluppo fisiologico e legittimo. Esso non ha una sua autonomia perché dipende da qualcosa che si è svolto in precedenza ed è il contesto ad attribuirgli valore. La documentazione esprime lo spirito dell'opera, il suo significato. Le definizioni sono opinabili e sia che si consideri l'opera come unitaria sia che la si consideri distinta dal catalogo, non si fornisce una descrizione formale, rigida e comunque valida, ma semplicemente un'opinione. Ogni definizione può essere accettata se rapportata al livello rispetto al quale pretende di essere valida.

Qui di seguito verranno passate in rassegna le esposizioni in tempo reale, seguendo la numerazione data da Franco Vaccari e quindi l'ordine cronologico. Per ognuna si fornirà la data di realizzazione, il numero, il titolo, il luogo in cui è stata realizzata e la descrizione con relativi commenti. Alcune esposizioni sono seguite anche da un'immagine. Nei casi in cui si trattino tematiche anticipate in precedenza, si provvederà a fare gli opportuni richiami e confronti. Al termine dell'elenco verranno poi raccontate alcune altre opere simili alle esposizioni in tempo reale.

1969 Esposizione in tempo reale n. 1

MASCHERE

'Dieci esperimenti di nuovo teatro', Galleria Civica, Varese.

In questa prima opera, Vaccari ha distribuito alle persone delle maschere che riportavano la fotografia di una persona sconosciuta. Calato il buio, l'artista ha girato per la stanza con una torcia e la macchina fotografica per fare degli scatti a queste persone. Quando tentava di fotografare qualcuno, questi si nascondeva dietro alla maschera per impedire l'invadenza della macchina fotografica e in un certo senso per proteggere la propria individualità, fuggendo nell'anonimato. In questo caso la macchina fotografica  ha costituito una minaccia per le persone, che si sono istintivamente difese dalla sua intrusione nella propria personalità. L'indagine diretta e cruda della fotografia avrebbe potuto rubare qualche immagine che si desiderava tenere segreta. Una fotografia che prende alla sprovvista può cogliere qualche aspetto di una persona in cui lei non si riconosce o che non vuole rendere pubblico.

Nel presentarsi agli altri, ciascuno desidera avere sotto controllo la propria immagine e sapere cosa gli altri vedono nel guardarlo. In questo caso tale presupposto veniva violato e quindi le persone tentavano di non sottoporsi allo scatto fotografico.


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1971 Esposizione in tempo reale n. 2

VIAGGIO + RITO

Galleria 2000, Bologna.

Franco Vaccari è stato invitato ad una mostra a Bologna  e si è fatto accompagnare da due fotografi che hanno documentato il suo andare a questa mostra con le fotografie scattate facendo uso della polaroid. Arrivati sul posto, le foto fatte durante il viaggio sono state  attaccate su una parete e il biglietto del treno è stato messo in una scatola appesa sulla parete di fronte. Durante l'esposizione i fotografi hanno continuato a scattare foto e ad aggiungerle alle altre. In tal modo la mostra si è autocostruita e chi veniva ad assistere vi era incorporato. É stato così annientato lo spazio della contemplazione e aperto quello dell'azione.

Alla fine della mostra l'artista ha ripreso il biglietto del treno e se ne è servito per tornare a casa.

Questa è stata una mostra emblematica nel suo genere perché ha messo a fuoco un procedimento espositivo che è stato riadottato in seguito, prevalentemente dai giovani: l'arte interattiva. Si tratta di un'arte che nasce dall'interazione tra l'autore e il pubblico, in cui quest'ultimo è chiamato in causa e non svolge un ruolo puramente contemplativo, ma risponde agli stimoli forniti dall'autore e interviene attivamente e concretamente nell'opera. Questo tipo di arte si è sviluppato soprattutto con la comparsa delle nuove tecnologie, ma Franco Vaccari l'aveva già introdotto nel mondo dell'arte con largo anticipo.


Immagine 2

1997 Esposizione in tempo reale n. 23

ANCHE TU QUI?! CAFFE'

Bellinzona.

In questa mostra l'autore ha allestito un bar in cui si potevano prelevare bevande dai distributori automatici. All'esterno si vedeva una finestra sormontata dalla scritta al neon: 'Anche tu qui?! Caffè'. Si tratta del titolo dell'opera, che coincide col nome del bar. È la prima espressione che è venuta in mente all'autore ed egli, come gli capita spesso, dopo averla pensata non è più riuscito a liberarsene e non ne ha trovate di più soddisfacenti.

Questa espressione sembra prefigurare un rapporto, tanto è vero che potrebbe essere l'inizio di un dialogo tra due persone che si incontrano al bar. La preferenza accordata a questo titolo risiede nel fatto che esso allude proprio alla relazione interpersonale, che è un elemento centrale e privilegiato nelle opere dell'autore. Egli le considera un principio costante in tutte le culture note. L'importanza della relazione è data dal fatto che essa costituisce il fondamento dell'individuo e del suo essere nel mondo.

Vaccari ha poi scelto il bar perchè è un luogo che facilita la socializzazione e quindi è particolarmente idoneo all'instaurazione dei rapporti. Per accedere al bar è stato costruito un percorso labirintico, per il quale sono state usate delle porte vecchie trovate in una discarica. L'uso di materiale di recupero è un fatto ricorrente nell'arte dell'autore.

Il bar era immerso in un'atmosfera tenue e le pareti erano percorse da luci colorate. Durante l'esposizione sono state scattate delle fotografie al bar e all'esterno gli scatti hanno documentato il trascorrere del tempo; al tramonto l'insegna del bar veniva accesa, come in un autentico locale notturno.

1998 Esposizione in tempo reale n. 24

BAR-BAR

Arles.

Questa esposizione ha riproposto in territorio francese la tematica del bar e il caso di Silvia Baraldini. Il titolo 'bar bar' richiama il termine barbaro, con la relativa marca semantica di inciviltà. L'ambiente è stato riempito con dei distributori automatici e fotografie della detenuta. Alle pareti sono stati posizionati degli enormi specchi, che si univano ad angolo. La percezione dello spazio non risultava lineare come nell'esposizione evocata, ma era mossa e dava un senso di complessità.

In questa sua opera l'autore ha manifestato nuovamente il suo impegno e la sua attenzione per gli avvenimenti del modo; facendo un uso politico della fotografia ha voluto denunciare un caso umano e far uscire l'opera dal ghetto del sistema dell'arte.

1998 Esposizione in tempo reale n. 25

CASETTA DELL'ARTE (KUNSTHÄUSCHEN)

Galerie Klatovy Klenova, Klatovy.

A Franco Vaccari piace intervenire nelle situazioni sfruttando gli elementi presenti in esse. Questa esposizione fornisce un esempio chiaro del suo atteggiamento.

In Austria, nella cittadina di Bregenz, ubicata sul lago di Costanza, è stato costruito un museo d'arte moderna molto imponente. Si tratta di un parallelepipedo di vetro, con un ingresso unico, sul quale sovrasta la scritta: 'kunsthaus' che significa 'casa dell'arte'. Questo edificio è dedicato alle mostre d'arte contemporanea e Franco Vaccari vi è stato invitato in occasione della mostra 'Arte in città'.

Di fianco all'ingresso l'autore ha realizzato una costruzione che fosse l'opposto, per materiali, dimensioni, estetica e imponenza, rispetto a questo immane edificio. Per realizzarla ha utilizzato materiale recuperato dalla discarica della città, che gli permettesse di creare questo contrasto. Ha inoltre collocato un'insegna luminosa su questo piccolo edificio, in cui era scritto 'kunsthäuschen' che significa 'casetta dell'arte'. Quando un signore molto elegante gli si è presentato come il direttore della casa dell'arte, lui si è definito a sua volta come il direttore della casetta dell'arte. La battuta non è stata senza conseguenze; infatti è stato stampato un invito in cui si diceva: 'Il signor Franco Vaccari, direttore della casetta dell'arte, è lieto di invitarla alla mostra'. In tal modo è stata data la possibilità a certi artisti di poter esporre le proprie opere se non proprio nella casa dell'arte, almeno nelle sue immediate vicinanze!

L'esposizione che ha realizzato è un esempio di arte povera, filone artistico caro a Franco Vaccari. Egli è convinto che per creare una grande opera non occorrano necessariamente materiali pregiati e dimensioni smisurate e lo dimostra chiaramente in questa occasione, dove con oggetti di recupero sortisce un grande effetto.


Immagine 3


1998 Esposizione in tempo reale n. 26

GRATTA E VINCI

Artforum Gallery, Merano.

É stata allestita una galleria dove si potevano acquistare dei biglietti della lotteria 'Gratta e Vinci'. L'ambiente è stato oscurato e un faro illuminava unicamente un tavolino, sul quale i partecipanti grattavano i biglietti. Due telecamere, una puntata sulle mani e l'altra sul viso del giocatore, erano collegate a due videoproiettori, che facevano apparire sulle pareti le immagini registrate. In tal modo era possibile seguire in diretta le emozioni di chi giocava.

Ancora una volta lo spettatore è diventato protagonista e gli è stata data la possibilità di vivere un momento tutto suo, attivamente.

1999 Esposizione in tempo reale n. 27

DA MODENA A KLENOVA (CON TUTTI E CINQUE I SENSI + UNO)

Klenova.

Questa mostra si è svolta in un castello di Klenova, in Cecoslovacchia. Franco Vaccari aveva a disposizione un piano dell'edificio e aveva adibito cinque sale ciascuna ad un senso: vista, tatto, gusto, olfatto e udito. Alcuni di questi sensi sono stati attivati durante il viaggio da Modena a Klenova e gli altri sul posto. Ad esempio per la vista aveva realizzato una camera ottica che permettesse di vedere l'esterno. Per quanto riguarda il gusto, si era accordato con il comune di Modena, che aveva provveduto a far recapitare in loco alcuni prodotti tipici della tradizione modenese (formaggio grana, aceto balsamico, lambrusco e salumi) in quantità tali da permettere una loro degustazione per tutto il periodo della mostra. L'ambiente del tatto è stato realizzato sfruttando la repulsione anziché l'attrazione. L'autore racconta che a Klatovy ha visto in una vetrina di un rigattiere un serpente impagliato. Una volta comprato, l'ha portato nella sala della mostra adibita al tatto e l'ha esposto attorcigliato su una colonna sulla quale aveva posto un vaso di Boemia.

Il coinvolgimento dello spettatore è stato scisso in cinque parti. La ripartizione fatta induce quasi a vedere l'operazione come un'analisi meticolosa. Il partecipante si è potuto concentrare su un senso per volta vivendo in tal modo più intensamente ogni parte dell'esperienza.

Le esposizioni in tempo reale sono opere uniche nel loro genere. Non sono certamente forme artistiche tradizionali e consolidate come la pittura o la scultura. Al contrario, esse sono assimilabili a pochi altri oggetti artistici e si definiscono più per differenza che per analogia con altri tipi di opere. La loro singolarità testimonia la dote artistica del loro autore, che ha saputo escogitare una formula nuova.

Sono certamente le opere di Franco Vaccari più significative perché con esse l'autore non ha prodotto arte nelle modalità note e consuete, ma ha inventato sia il contenuto che la forma espressiva. In questo aspetto del suo lavoro risiede l'importanza delle sue operazioni artistiche. L'autore ha scritto testi e ha dipinto quadri in modo innovativo, ma è stato nel fare le esposizioni in tempo reale che ha avuto modo di dar vita a ciò che aveva di più personale.

La sua visione del mondo e la sua capacità riflessiva si sono incontrate e sono state tradotte dalla sua sensibilità artistica in una forma che non aveva precedenti e che è difficile da imitare o da produrre in altri modi. Forse è presuntuoso dire che solo Franco Vaccari è in grado di creare quest'arte, ma è senza dubbio vero che l'epoca contemporanea ha trovato in lui un degno e abile interprete di se stessa.


[i][1] La presenza di differenze non implica l'assenza di somiglianze. Tutte queste forme artistiche sono accomunate dal fatto di essere innovative rispetto al tradizionale modo di fare arte.

Le esposizioni in tempo reale condividono poi con gli happening due aspetti. Uno è l'intento di stabilire dei collegamenti tra l'artista e il pubblico, per lo più attraverso forme di immedesimazione e coinvolgimento. L'altro è l'importanza che in queste opere ha il tempo: le esposizioni in tempo reale si realizzano in un periodo stabilito, in cui le azioni si susseguono e manifestano il vissuto attraverso i fatti compiuti, di cui rimane la memoria nel catalogo, mentre negli happening viene posto in rilievo il trascorrere del tempo e l'irreversibilità dei fatti compiuti; ad esempio durante un happening è stato ucciso un animale sulla scena: non si è rappresentata la sua morte con una finzione, ma la si è mostrata nel suo svolgimento reale.

[ii][2] Il ruolo che riveste la cura del catalogo nel lavoro di Franco Vaccari ha un valore particolare, in quanto l'autore si occupa personalmente della realizzazione di questo testo, trattando sia la parte di contenuto che la componente grafica; in tal modo il catalogo si propone come una prosecuzione dell'opera.

[iii][3] Il sociologo francese Marc Augè definisce il concetto di 'nonluogo'. Egli sostiene che possano dirsi tali tutti quegli spazi creati in epoca contemporanea che mancano di elementi affettivi. Si tratta di ospedali, aeroporti, centri commerciali, autogrill, stazioni ferroviarie o altro ancora, privi di passato e di futuro. In questi luoghi gli individui percepiscono una sensazione di spaesamento, perché sentono la propria identità vaga e indefinita.

 

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