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L'infelicità senza desideri di Gennariello:
a Pasolini, in forma di missiva
di Antonio Bisaccia

Caro Pasolini,

ma ti vorrei chiamare Pier Paolo,

ho sentito la necessità di risponderti (e so quanto tu possa essere sorpreso della mia esistenza). Perché la mia presupposta inesistenza possa esserti d'aiuto, nella stesura del "trattatello" interrotto per le ragioni che tu conosci meglio di tutti noi, cercherò di capirti meglio.

Intanto devo dirti che la tua attenzione pedagogica mi è arrivata con più di vent'anni di ritardo: cosa che non mi stupisce, né mi addolora. La cornice nella quale mi muovo (o sono mosso) è impermanente perfino al silenzio, figuriamoci se il "comunicare" non è fonte di conflitto inevitabile! Ma il ritardo non mi rende scettico nei confronti del tuo dire, che non mi appare a-storico, né dogmatico ( e come potrebbe essere diversamente?).

Dunque ti ho letto e, cosa più importante, ho assorbito le tue emozioni in forma di stalattiti, con tutto il loro eclettismo dissimulativo. Però devo dirti che il mio percepire è alquanto trasfigurativo, e allora non ti stupire se mi concederò un simbolismo "escursivo" o addirittura materico.

Cominciamo dal tuo immaginarmi. Diciamo subito che non sono napoletano così come mi vuoi. Si, è vero, mi chiamo Gennariello ma sono nato ad Agrigento, e ciò non toglie nulla alla mia naturale napoletanità (connaturata alla mia mai assopita sicilianità metafisica e, alcune volte, anche lirica e insopportabile).

Del resto, la tua descrizione sull'immutabilità dei napoletani non può che essere anche la mia, la nostra (anche se per altri motivi: ricordi quello che diceva Tomasi di Lampedusa? Credo proprio di sì!). Anch'io preferisco la mia ignoranza alla scuola della repubblica italiana: è certamente più sofisticata e significativa. E anch'io preferisco le scenette "naturalistiche" alle scenette della repubblica italiana. Con la differenza che per me sono solo "naturali" o, meglio, le sento come naturali (e familiari) perché non sono ancora in grado di vederle dall'esterno.

Ma tu si, tu le hai viste da fuori, e per questo hai un vantaggio su di me. Vedi, anche la nostra attenzione è un favore che ti facciamo. E' naturale: tutte le volte che abbiamo abbassato la guardia ci hanno invaso (e non solo le menti). La diffidenza è divenuta un'arma di difesa, un sofisticato scudo contro le intrusioni di qualsiasi tipo. Siamo bastardi....eccellenti, improbabili bastardi.

Si è vero (ma come sei sensibile!) anche l'imbroglio è uno scambio di sapere, anche se talvolta a senso unico. L'imbroglio presuppone che l'empatia con l'imbrogliato sia massima, dunque colui che imbroglia è, spesso, un buono che non ha scelta. Non che questa sia una giustificazione: è solo una constatazione di fatto. La malvagità ha altri paradigmi.

Sulla mia fisicità, devo dirti che effettivamente sono abbastanza carino e forse ho quei lineamenti, di cui tu parli, che sono il marchio indelebile di una prossima maschera. Ma ho gli occhi castani, la bocca sottile (anche se sensuale), i capelli lunghi e crespi. Poi sono solido di gamba, ma non amo il calcio. O meglio non amo quel calcio che si è trasformato in corrida per polli di allevamento miliardari. Ma non preoccuparti, qualche calcio insieme possiamo tirarlo quando vuoi. Ho qualche volta fatto il portiere, e sono pronto a qualsiasi rigore (di forma e contenuto).

Per la mia classe sociale non posso che darti ragione. Si sono di provenienza borghese, ma oggi, qui da noi, la borghesia non è che un fantasma. La lotta di classe è una cosa retrò. Siamo tutti omologati, omogeneizzati, frullati, nel grande pastone della moneta: tu chiamavi questo capitalismo.

Oggi la situazione si è aggravata e la gravità maggiore si chiama "globalizzazione". Altro che Napoli grande metropoli plebea che livella le classi sociali! Qui mi pare che la livellazione abbia ormai una portata planetaria, non risparmia nessuno: ma i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Per quanto superficiale e scontata ti sembri tale affermazione, posso assicurarti che fotografa bene uno dei tanti livelli della nostra realtà. Ho diciotto anni e mi sento di averne 30 o 10 a seconda dei casi. Vedi, adesso puoi dire agli altri che il tuo testo non è bugiardo: il mio dialogo e il mio sorridere non ti mancheranno. Saprò darti la misura del mio sentire, o almeno ci proverò.

Come ti immagino e cosa so di te? Bene, volevo giusto parlartene. Il livello di conoscenza che ho di te è molto superficiale. Si, scrittore-regista discusso e discutibile, uno strano comunista, uno strano cattolico, una strana persona. Ma come intellettuale non devi dispiacertene. Tutto quello che si dice di te non mi ha mai convinto. I colori netti, senza sfumature mi hanno sempre fatto una cattiva impressione, mi mettono in imbarazzo. Ed anche i giudizi mi fanno paura: peccano di essenzialismo, cercano sempre il mito che non ci appartiene.

Del resto è verissimo: questi giudizi su di te vengono da destra quanto da sinistra e anche dai marchettari (come tu li chiami, con graffiante dolcezza). Sul qualunquismo sono d'accordo. L'ansia di conformismo lima tutte le differenze di stato e di luogo, irride alle gradazioni, e alimenta quell'antinaturalismo che rende scivolosa l'immaterialità. Il conformismo acceca chiunque, e gli illuminandi che vogliono sfuggirgli non fanno altro che ritardare la stazione d'arrivo.

E' per questo che non mi fido dei rivoluzionari di superficie. Ho sempre pensato che il rivoluzionario, in tal senso, non è che un reazionario che, stanco di aspettare il suo turno per il potere, lo reclama a gran voce.

E la storia ci ha fatto vedere che non mi sbaglio di molto. Per restare vicini nella storia, non posso che darti ragione (almeno in parte) per ciò che dici del '68. Si, è vero, il conformismo si è reso più "consumista", più attraente perché apparentemente non "conformista". Non è stato necessario imbastire procedimenti retorici per convincere le "masse" giovanili. Esse sono state catturate (e anch'io lo sarei stato, con ogni probabilità) dal fascino del nuovo, del diverso, dell'immaginazione. Ma purtroppo, l'immaginazione non è andata al potere (secondo slogan): è rimasta ai margini a tessere le ferite dei più radicali e creduloni.

Il nuovo sistema sociale non ha che cambiato il vestito: è cambiata la moda, la musica, la cultura, etc..., ma non è cambiato il sistema vigente: si è trasformato e, si sa, il potere sa sempre andare laddove lo invocano. Conosce la strada meglio di chiunque altro, è percettivo. E' lui il vero rivoluzionario perenne, ovvero quello che precede di un passo chiunque voglia intralciarlo: è il più grande seduttore di tutti i tempi, il chiavatore per eccellenza, un Priapo sempre all'opera. E' anche vero che gli intellettuali cosiddetti progressisti sono fiancheggiatori del potere. Non ha senso, dici benissimo, de-sacralizzare quando ciò che veniva considerato sacro non c'è più. E' come cercare un assassino già morto o arrestato. Ma ora c'è il "buonismo", caro Pier Paolo, ed è più sottile e più carogna dell'oppressione vera e propria. I buonisti sono docili quando parlano e spietati quando agiscono: sempre all'ombra, ovviamente. Hanno il dente bianco e avvelenato, ammaliano nella prospettiva ma sono anamorfici, si relazionano a tutto ma per puro spirito di fagocitazione, sono pronti ad ascoltarti ma per poterti meglio controllare, sono osceni ma ben vestiti. So, Pier Paolo, di cadere, come i sociologi, nella scienza dell'ovvio: ma a forza di aver paura di essere colmi d'ovvietà, andiamo a cercare soluzioni tanto lontano da perderci comunque. E allora vada per l'ovvio purché abbia un fondamento di sincerità (che non è una qualità ma un semplice stato d'incoscienza).

Io litigo sempre con mio padre e con mia madre, ma questo non mi impedisce di amarli.

E' questo il punto che m'interessa per scoprire che cosa mi circonda e che cosa mi frulla nel cervello. Ecco, altro errore: pensare di avere un cervello che pensa da solo. No, sono convinto (e qualcuno che non conosci me l'ha insegnato) che noi tutti siamo pensati da un metacervello che tutti ci comprende e ci accomuna.

Se così non fosse avremmo sempre, tutti i giorni, le battaglie per le strade e per le piazze. Battaglie non solo ideologiche: anche semplici battaglie di sopravvivenza. L'incomprensione ha una sola valvola di sfogo non retorica: la violenza (intesa come luogo in grado di produrre com-prensione!). La ragione può essere attivata solo se c'è il metacervello prima citato (ma essa è amorfa e intralcia il comune sentire).

Questo volevo dirti perché tu sappia come la penso, anche se la penso male (insieme ad altri). Ma, come tu sai bene, non si può piacere a tutti e non bisogna dolersene. Piuttosto bisogna stroncare quell'io che cerca (infantilmente) sempre consensi. Trova disequilibrio e si allontana dall'errore: unica, salvifica necessità.

(a seguire...nel prossimo stralcio)

 

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