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Il futuro in un clic: il dilemma del web tra arte e mercato*

di Antonio Bisaccia

Immagine 1Appartiene al guru-teorico Jakob Nielsen la più sistematica riflessione sulla web-usabilità pubblicata dalla casa editrice Apogeo nell'ottobre del 2000. Lo stesso autore ha pubblicato, qualche mese fa, un altro studio sull'usabilità della rete dedicato, monograficamente, all'home page: HomePage usability, Apogeo, 2002, 336 pp.

L'unico dio al quale l'espressione deve, necessariamente per Nielsen, genuflettersi è la velocità. Secondo l'autore si hanno appena 10 secondi per sedurre il visitatore virtuale a continuare la sua esplorazione delle altre pagine di un sito. In tal senso, allora, la costruzione delle pagine dev'essere legata a una fruibilità immediata e senza fronzoli. Nielsen mette a nudo 50 siti particolarmente rappresentativi, smembrandone la struttura per comprendere i meccanismi che possono attivare l'interesse degli utenti. Il rapporto tra occhio e velocità diviene, in tal senso, un'arma di cui l'utente deve servirsi per sfuggire alla spazzatura della rete.

La parola d'ordine per raggiungere questo scopo è "selezione". L'intellettuale del XXI° secolo non sarà chi si coltiverà di più immagazzinando concetti, teorie, nozioni, etc., ma chi riuscirà a selezionare meglio.

La sindrome della selezione non coglie chiunque entri in una normale biblioteca cartacea? Dov'è la novità? La differenza risiede solamente nell'istantaneità di un clic, nel dominio quasi assoluto della velocità: divenuta variabile, significativamente, espansa della nuova post-modernità. E l'arte? Come può sostenere il peso (o la leggerezza) della corsa? Quale relazione possono tessere le immagini dell'arte con la rete? E qui Nielsen non ci dà una risposta. Dovremmo, forse, capovolgere le sue ipotesi per capire come l'espressione artistica possa convivere con il web. Dovremmo usare l'arma della lentezza.

Non si tratta costruire di un semplice elogio della navigazione lenta o complicata, giacché anche l'idea di semplicità non si contrappone alla complessità. Direi che si tratta di tessere l'elogio dell'oscurità, della difficoltà, della vitalità che scaturisce dall'"usabilità" messa alle strette dall'espressione. La rete non conosce (che) se stessa. Nella sua autoreferenzialità dimora il principio di perenne "inciampo" della comunicazione. Essa presuppone un salto nel vuoto e il problema è cercare di definirlo, di cristallizzarlo, di renderlo permeabile: non di riempirlo!

 La spiegazione è semplice (questa si): il vuoto è una congettura, cioè qualcosa. Il vuoto, allora non va riempito: deve essere com-preso, ovvero bisogna appropriarsene rendendolo attivo. Senza darwinismi tecnocratici, senza sterili tecnofobie e senza doni al mercato:

Appigli. Il mercato non vuole appigli, desidera solo che vi si scivoli sopra con quella speciale tavoletta surf che si chiama credit card;

Segnali. Che tutto diventi segnale d'acquisto! ecco la vera involuzione rivoluzionaria. Puo' esistere, sembra sentire da più parti, solo un web intessuto di seduzioni onnimonetarie e filo-market. Vedremo ovunque segni come fili di Arianna verso le svariate banche;

Web-insostenibilità. Dati esperibili e consumo stabile: ecco un altro monito incipiente (o già, forse, realizzato). Tra le infinite tipologie di esposizione di dati prevale quella dell'esperibilità dopo navigazione, del consumo dopo la conoscenza (o dell'incoscienza prima del consumo!). La merce ci chiama per nome e noi avviamo il processo di scambio: il baratto di bit.

Contra dogmaticos. Si ha necessità di attraversare la rete senza esserne consumati. Se consumo ci deve essere che sia conoscenza. La semplicità non è direttamente proporzionale alla velocità e velocità non è l'alter ego del "meglio". Ci sono zone del nostro immaginario che si alimentano solo di oscurità per snidare la chiarezza alla fine del punto di domanda. L'usabilità è un ombrellone ideologico, uno scudo contro l'estetica e le poetiche.

E poi di quale uso del web si parla in Nielsen? Se pensiamo all'e-commerce, il discorso è finito e la logica pietrificata dal raggio micidiale come in "Paris qui dort". Ma se pensiamo alla grafica-web come possibilità di espressione, allora non  si capisce bene (e perché prendersela con un programma di animazione in rete come Flash!?). Un mezzo, appunto, si usa. Ma io posso usare la scrittura per scrivere l'orario dei treni (in modo monosemico) o per imbrattare la carta con la Divina Commedia. Se Dante avesse seguito i principi della "web-usabilità" (applicata alla scrittura) forse avrebbe scritto qualcosa di meno interessante. Non sono secoli che cantiamo la forza dell'"oscurità" e della polisemia? Bene, allora, se la strada è quella indicata  dai web-semplificatori perchè non applicare questi principi anche alla grafica delle riviste, dei libri, dei format televisivi etc...? Qualcuno dirà che questa è diversa cosa, ma allora perché proprio il web dovrebbe abdicare le sue potenzialità estetiche all'usabilità commerciale? Forse web non fa rima con arte, ma web non deve far rima con niente: è uno strumento. E null'altro. Una certa precettistica tende a produrre solo "cataloghi" e repertori di merci. Forse anche qualche acquirente in più. Poi, come al solito, ci sarebbe la crisi e la rivalutazione dell'estetica. Ma perché perdere questo tempo? Il rizoma ha già fagocitato il centro: per alimentare la proliferazione indefinita del nucleo espressivo nell'alveo dell'instabilità, che è un non-luogo scomodo ma necessario. Aspettiamo ancora testi  che ci dicano come l'arte debba usare la rete (e viceversa). Nell'attesa cerchiamo di non usare il web come semplice catalogo per gli artisti: sarebbe come usare una macchina da trecento all'ora per andare a passo di lumaca; o come usare il blu lapislazzulo di Giotto agli Scrovegni come inchiostro/tinta per compilare un registro di conti.

*Pubblicato sul quotidiano "La Nuova Sardegna", 6 gennaio 2003

 

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